1998 MALI / BURKINA FASO

Impazzire di caldo fra i miti dell’Africa nera

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Burkina Faso - Pozzo in un villaggio Mossi

Un viaggio in Mali è quasi un obbligo per un viaggiatore.  Questo paese infatti possiede dei climax assoluti come i Dogon, che vivono ai piedi della falesie de Bandiagara, la moschea di Djenné e la mitica Timbouctu. E’ il giorno 30 di Aprile quando all’aeroporto di Milano Linate parto con un volo Air France verso lo Charles de Gaulle di Parigi. Il successivo volo dell’Air Afrique è mezzo vuoto e questo mi consente un viaggio più confortevole del previsto. L’aereo atterra prima a Bamako, capitale del Mali per poi decollare nuovamente alla volta di Ouagadougou in Burkina Faso. Fuori dall’aeroporto mi aspetta Ibrahim, la mia guida Tuareg e con lui si va al bel Sofitel di Ouaga dove conosco anche Mohammed, il nostro autista. L’appuntamento è per domani alle 5.30 del mattino per la partenza e di sera ceno al ristornate dell’albergo con una buona crema di pollo ed un filetto di capitaine(pesce di fiume) su di un pavé di risotto giallo. E’ il primo Maggio, anche qui giornata del lavoro ma io ho messo bene le cose in chiaro la sera prima. Io viaggio da solo e gli orari li decido io. C’è un caldo asfissiante ed ho voluto abituarmici già di notte non accendendo il ventilatore. Giù dabbasso mi aspettano puntuali e partiamo attraversando Ouaga la capitale di questo paese tra i più poveri del mondo. Ciononostante, la città appare gradevole, alberata e da l’impressione di un certo ordine. Sarà l’unica in tutto il Burkina!. Prendiamo la direzione di Ouahigouya ma incredibilmente, ci dicono che per ragioni politiche  la strada è impercorribile. Il Burkina è un paese rivoluzionario e vuole controllare tutto e tutti con una burocrazia inflessibile ed innumerevoli posti di blocco della polizia. Siamo perciò costretti a tornare sui nostri passi riattraversando Ouagadougou ed imboccare un'altra strada.  La brousse del Sahel ci accompagna costantemente ed il paesaggio è un deserto piatto punteggiato da acacie e piante spinose. Le case ed i villaggi Mossi che si vedono dalla strada hanno una struttura di fango con muri che circondano tutto l’ambiente del gruppo familiare allungato. La vita si svolge all’interno, fuori da sguardi indiscreti. Ogni tanto dei pozzi e delle genti intente all’approvvigionamento. Le donne pestano in alti mortai cilindrici il miglio od il sorgo.  In questi posti, dove la siccità compare regolarmente ogni 2 - 3 anni, l’acqua è tutto ed in caso di prosciugamento di un pozzo il villaggio muore e devono spostarsi in un’altra zona dove c’è acqua. Ad una cinquantina di chilometri dalla frontiera col Mali sostiamo per il pranzo al sacco. Ibrahim dispone un pleid per terra e mangiamo del tonno mentre Mohammed prepara il tè tuareg. Il primo bicchierino è fortissimo ma i successivi sono più accettabili dal palato occidentale. Fa già molto caldo e ripartiamo verso la frontiera dopo uno stillicidio di soste e contro soste  per il controllo dei documenti.  Intanto il sole comincia a bruciare e non pensavo davvero di subire in Mali  il martirio patito in Dancalia. Stare fermi in auto o fuori ad aspettare Ibrahim è un calvario mentre lui si deve inventare che sono un uomo d’affari che deve investire in Africa o altro per ottenere un più veloce controllo. I poliziotti si industriano per spillarci qualche soldo ma la mia guida la spunterà sempre come vincitore. D’altronde come si può dar torto a questa gente!. In Mali, in Burkina ed anche in Niger i soldati non prendono lo stipendio da mesi. Che volete che facciano!. Corruzione o concussione a seconda dei casi. Il paesaggio non cambia ed arriviamo alla cittadina di Koro dove scendo per ammirare una bella moschea di fango in puro stile sudanese. Ci sono dei pali che fuoriescono dalla struttura che oltre  a dargli più solidità gli danno una maggiore grazia.. Fa un caldo infernale e pare di bruciare  a stare sotto il sole. Mi pare la fotocopia della tappa dancala all’Erta Ale. Io sono pieno di entusiasmo  e mi muovo scattante e reattivo ma sono solo agli inizi. Alle 14.30 il termometro digitale segna 50°c per poi mediamente stare a 48°c. Arriviamo a Bankoss, punto di partenza ideale per il trekking nella zona dei Dogon con mezza giornata di anticipo rispetto al programma originale. Sostiamo all’Hotel de l’Ambes ma dietro il nome si nasconde solo qualche sdraio, sedia, tavolino ed un piccolo bar. Questa notte dormiremo qui e la tenda me la monteranno sul terrazzino dell’albergo dato che di stare in camera non se ne parla proprio. La falesia de Bandiagara non è molto distante da qui e la si può raggiungere con la nostra Land. La mia idea originaria di effettuare un trekking la sostituisco grazie anche alle informazioni di Ibrahim che mi consiglierà di raggiungere i vari villaggi sotto la falesia in auto. C’è intanto tempo per una prima visita e dopo una decina di chilometri ecco finalmente la prima muraglia Da anni sognavo questo momento. I Dogon sono uno dei miti più resistenti di un viaggiatore ed anche se la mia consapevolezza di non trovare più un popolo vergine è ben reale, l’emozione di stare di fronte  ad un luogo tra i più celebrati del pianeta mi arreca brividi di gioia. La falesia è sconfinata e si perde da ambo i lati attenuata dalla calura che sfuoca tutto. Passiamo l’abitato di Teli, pur famoso villaggio, per sostare ad Ende. Per 3.000 CFA prendiamo una guida che ci porterà a vedere le famose costruzioni Dogon ed anche quelle dei precedenti Tellem. Attraversato il villaggio di pianura dove i Dogon vivono risaliamo lungo un ampio tracciato con grandi massi. Arriviamo a mezza altezza dominando il villaggio sottostante. E’ la sconfinata pianura di Gondo. Ai tempi delle invasioni musulmane il popolo originario di questi luoghi, i Tellem, per sfuggire loro ha adattato le fessure, le caverne, gli anfratti presenti sulle pareti delle falesie ad abitazioni. Le hanno arrangiate con spartani materiali di costruzione alla vita e vi ci si rifugiavano nei momenti di pericolo. Dimostrano di avere avuto grandi doti di scalatori infatti, anche con corde non è facile issarsi fin lassù. La loro storia è oscura come quella di molti popoli di questo continente anche  per la mancanza completa di ritrovamenti scritti, testi che sappiano indicare la loro provenienza o i caratteri salienti della loro cultura. Si sa solo che verso il X secolo i Dogon presero il loro posto costruendo le loro tipiche abitazioni sotto quelle dei Tellem, proprio sotto la falesia. Più tardi, 30 - 50 anni fa scesero ulteriormente, costruendo i loro villaggi dove sono attualmente ai margini della pianura. Sono pochissimi coloro che abitano ancora in alto, nelle vecchie cellule abitative  poco facili da raggiungere e spesso sono gli hogon, anziani appartenenti all’etnia che godono di grande rispetto e prestigio. Essi sono i capi spirituali e coloro che detengono il sapere, la cultura. Piano piano che si sale la fatica si fa sentire ma il panorama diventa sempre più bello. Il sole sta tramontando e conferisce alla sottostante pianura argillosa colori molto intensi. Arrivati in cima c’è una grotta con degli oggetti all’interno. Sono di proprietà dell’hogon del villaggio che sta proprio ora raggiungendola. Gli abitanti ogni tanto gli portano da mangiare fin quassù e lui è contento così. Ridiscendiamo al villaggio dove acquisto una loro maschera e attraverso altri piccoli villaggi arriviamo a Bankoss ritornando in albergo. Mi ritiro in tenda verso le 21.30 con 36°c.  Non è stata una gran notte a causa del generatore d’elettricità che non ha smesso di andare nemmeno un istante e di mattino sono un po’ rintronato ma alle 7.00 partenza verso la pianura di Gondo. Ogni tanto Ibrahim e Mohammed parlano fra di loro il damachek, la lingua dei tuareg ed ovviamente non ne intendo nemmeno le pause ma sono affascinato dalle sonorità. Nella pianura incontriamo qualche Dogon ma non sono l’unica etnia presente infatti anche i Peul ed i Barbara hanno l’abitudine di abitare questa zona. I Peul(11% della popolazione maliana) sono allevatori e  genti di altri etnie, riconoscendogli le loro qualità gli affidano il bestiame del villaggio. Sono quasi tutti islamizzati con una piccola percentuale di animasti specie in quelli più nomadi ma il più delle volte è una sorta di sincretismo fra animismo ed islam. Raggiungiamo il limite della falesia e nei villaggi più piccoli mi inoltro da solo con loro che mi aspettano in auto. Animali da cortile, donne che pestano nei mortai e bambini che giocano. Ci sono giù 40°c fissi. L’ambiente è unico, genuino. Ripartiamo in jeep mentre l’atmosfera si fa incandescente. Mettendo fuori la testa dal finestrino è come disporsi un phon verso il volto. Si può resistere poco tempo e poi più. Ci avviciniamo ad una strada che sale la falesia e sembra davvero impossibile che si sia trovato il modo di realizzarla. Ce ne sono solo due. Una è questa ed arriva fino a Bandiagara, il centro più importante della zona Dogon e l’altra, quella che percorreremo in serata porta a Sangà. Arriviamo al villaggio di Nomborì dove raggiungiamo con una guida locale le vecchie case Dogon ai piedi della falesia. Sulle pareti stupende groppe Tellem. Sono le 10.30 e ci sono già  44°C. Si sale lungo sentieri sempre con un sole implacabile sopra la testa. Non c’è riparo, scampo. Mi sento appesantito, fiacco ma non bisogna dimenticare che Ibrahim, poco prima di partire aveva letto su un giornale maliano che quest’anno la temperatura è più elevata della norma ed ogni giorno nel paese si contano circa 60 morti a causa del caldo terribile. Se muoiono loro!. Ritorniamo al villaggio, dove le mie due guide hanno preparato il pranzo in un posto riparato dal sole vicino ad una capanna. Mi riposo un po’ anche se mi rendo conto di essere come uno straccio sporco e sudato. Ogni tanto ammiro il paesaggio della falesia rimanendo estasiato. Resteremo qui per un ora e mezzo circa ritornando poi alla jeep e ripartendo verso un altro bel villaggio: Tirelì, dove grazie a del carburante che riescono ad ottenere fanno funzionare un frigorifero dove si può godere di alcune bibite fresche. Mi pare di sognare!. Lungo tutta la falesia esiste la possibilità di dormire in “campament” spartani dove però ci si può riparare. Naturalmente non sono come dei lodge ma nel sahel si possono considerare quasi come dei salvavita. Salgo con una guida per visitare il villaggio, fatto di case di fango inframezzate  con paletti di legno e poggianti su basamento di pietre. Caratteristici sono i  granai a cono col tetto in paglia. In essi vengono conservati miglio e sorgo che costituiscono l’alimento principale delle popolazioni locali. Normalmente la dieta comprende una focaccia fritta di miglio alla mattina ed anche il pasto e la cena saranno sempre a base di miglio. Raggiungiamo  finalmente la mitica “togunà”, una costruzione semplice con il tetto sostenuto da pali robusti molto spesso scolpiti con immagini, figure della cosmogonia Dogon. Terminata la visita ritorno dalle mie guide e si riparte lungo la falesia. Oggi è sabato ed a Sangà c’è il mercato. Ecco  perché c’è tutto questo movimento di persone, specie donne. Provengono dalla pianura e molte hanno sopra la testa in equilibrio i loro prodotti. Considerando che la loro meta è Sangà avranno da arrampicarsi lungo i pendii ripidi e pericolosi della falesia sempre a strapiombo nel vuoto oppure percorrere la stradina che la raggiunge comodamente però molto più avanti. In tutti e due casi questo percorso e quindi sforzo è allucinante. Sono decine di chilometri sotto un solo pazzesco da percorrere sempre carichi di merce sia all’andata, pieni di prodotti da vendere, che al ritorno con i prodotti acquistati o barattati. Imbocchiamo la stradina per Sangà restando impressionato nel vedere cosa sono riuscito a fare gli antichi Tellem. Di sopra, alla fine della strada il mercato è un ‘esplosione di colori e di genti, un folklore che rimane scolpito nella memoria. Raggiungiamo un hotel spartano dove monto personalmente la tenda. Mentre le mie guide dormiranno come al solito sul portapacchi della Land sopra due materassini. Per la cena mi allargo con un “tau” . Arrivano due piatti dove in uno c’è una polenta di miglio che dovrei pucciare nell’altro dove è presente una salsa con pezzi di montone marinato. L’indomani partiamo verso Bandiagara lungo un paesaggio di pietraie . Qualche agglomerato di Peul, Dogon e saltuariamente qualche Tuareg. Questi ultimi sono sparsi in vari stati fra i quali l’Algeria, il Mali, il Burkina, il Niger ed hanno infiammato la situazione politica sia del Mali che del Niger dove combattono da anni per avere una condizione migliore e contare di più. Intanto io sono affascinato dall’idea di raggiungere Timbouctù, mitico crocevia in passato del commercio transahariano ma Ibrahim non mi garantisce nulla. Dipenderà dalle informazioni che avremo in seguito dato che la zona è insicura.  Intanto si arriva a Bandiagara, semplice villaggio ingrandito e nulla più. Avanti sbuchiamo a Savarè  sulla strada asfaltata che taglia tutto il Mali dalla capitale Bamako fino a Gao. Abbiamo saputo che a Gao la situazione non è tranquilla. La mia idea era di arrivare a Timbouctù  partendo dopodomani mattina presto, raggiungere Gao scendendo poi verso sud e tornare in Burkina. La zona tra Timbouctù e Gao però dicono che è pericolosa ed è necessario far parte di un convoglio per motivi di sicurezza. In pochi percorrono la strada e l’attacco dei predoni e dei ribelli non è così saltuario. Vedremo di ottenere più informazioni a Moptì stasera. Raggiungiamo il bivio con la mitica Djennè e fra qualche chilometro dovremo imbarcarci su  qualche traghetto per attraversare il Bani, il più importante affluente del Niger nel quale confluisce a Mopti. Ai lati della strada c’è una vasta pianura alluvionale e nella stagione piovosa si forma una specie di grande delta interno. Il Niger esonda e forma una miriade di bracci fluviali nei quali la popolazione locale coltiva il riso. Arriviamo in prossimità del traghetto ma la siccità che attanaglia il Mali ha quasi prosciugato il  fiume cosicché con l’aiuto di due locali scegliamo il punto migliore per guadarlo raggiungendo la sponda opposta. Sulle rive si notano donne che lavano i panni con costumi riccamente colorati. Proseguiamo verso Djenné che però è molto vicina. Eccola!. E’ un momento emozionante perché qui è ubicata la famosa moschea di fango, la più grande del mondo e dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Attraversiamo la cittadina e finalmente è qui davanti a noi. E’ magnifica e mi sento emozionato ma la visita la faremo più tardi. Ora sono cotto dal caldo ed ho sete perciò ci dirigiamo subito in un locale all’interno di un recinto murato. Hanno la corrente e l’acqua fredda. Che libidine assoluta!. Mangiamo del riso con del filetto di capitaine. Ci sono molti viaggiatori e più tardi sapremo che sono la maggior parte australiani che hanno attraversato l’Africa da sud a nord con un automezzo spettacolare. Non so come considerarlo, se un camion o una grande jeep. Il fatto è che trasporta 10 persone ed è grande tre volte la nostra Land Cruiser con delle gomme quattro volte le nostre. Assomiglia quasi ad un carro armato. Questi sono viaggiatori con le palle d’acciaio e con questo mezzo saliranno fino in cima le dune del Niger. Alcuni di loro stanno riposando all’ombra sotto il camion. E’ come un mostro gommato!. Finito il pasto si riposa un po’ perché fuori il caldo è “fantastico” e cuoce persino le idee. Alle 14.00, con un ragazzo che mi fa da guida esco per la visita e si parte naturalmente dalla moschea, costruita nel 1905 su di un'altra preesistente. Ogni anno si devono fare dei lavori di manutenzione perché le piogge la danneggiano. La facciata è rivolta alla Mecca e moltissimi legni fuoriescono dai muri perimetrali. Dovrà essere proprio un bel colpo d’occhio nel giorno del mercato quando la piazza si riempie di gente di tutte le etnie maliane con i loro variopinti costumi!. Questa che sto raccontando è la parte culturale della visita perché in realtà sarà un supplizio di Tantalo. Fa un caldo inenarrabile!. Non ho provato sensazioni così nemmeno durante i due giorni nell’inferno della Dancalia. Indosso il cappello ma mi sta bruciando tutto il corpo ed il sudore mi entra continuamente negli occhi. Mi trascino letteralmente!. E’ impossibile descrivere quello che sto provando ma è come se il 90% delle forze mi abbiano abbandonato e con esse anche la voglia di continuare la visita. Ci deve essere una temperatura infernale e per giunta non ci sono ripari. Si sale su un tetto per meglio osservare la sagoma della moschea. Questo sforzo mi ammazzerà. Non ho mai provato in tutta la mia vita un salasso di forze così completo. Si rischia di impazzire dal caldo, di dare fuori di matto. E’ una calura insopportabile: sono le 14.30 ed il sole è a picco. Proseguendo, la mia guida mi fa notare delle costruzioni che fungono da scuole coraniche. Ci sono due università coraniche e vengono fino a qui da diversi punti dell’Africa. Ammiro la casa di Callé prima che ripartì verso Timbouctù mentre mi accorgo che sto barcollando. Non riesco a mantenere una traiettoria diritta. Gli avallamenti del terreno, che normalmente sono superati ribilanciando il proprio corpo nella direzione opposta alla buca presa, in questo momento mi provocano delle perdite di equilibrio. E’ allucinante la calura e quando dovrò salire le scale che portano ad una sorta di view point alto su Djenné mi appoggerò ai muri. Durante le visite artigiane durante le quali dovrò rimanere in piedi ad ammirare l’abile arte locale nella fabbricazione dei tessuti, nella filatura del cotone barcollerò. Torniamo al locale dove ci aspettano le guide  e quando varco il cancello Ibrahim con un cenno del capo mi fa segno di andare da lui ma io non ho nemmeno la forza di scuotere la testa e  mi avvio alla saletta con il refrigeratore e le bottiglie d’acqua. Ricordo di non avere avuto nemmeno la forza di staccare la batteria dalla telecamera. Mi appoggio al tavolo con i gomiti per tenere su il tronco e la testa che non riescono più a stare diritti. Ho addosso una stanchezza inaudita. Ripartiamo ma la macchina è un forno, letteralmente. Il termometro dice 58°c all’interno e ricordo che in Dancalia lo stesso termometro, lasciato in auto sotto il sole segnava 54°-56°c ma 58 è un record mondiale, almeno per me. All’interno mi pare di essere un uovo alla coke. Le lamiere sono roventi e non si può toccare niente. La temperatura esterna è invece di 50°C ma tutto ciò provoca come un ubriacamento generale. Sto bruciando mentre ripercorriamo la strada verso Savaré. Sembra di essere all’inferno ma fortunatamente il clima migliora e verso sera raggiungiamo Mopti sul fiume Niger. Pernotteremo al bel Kanaga, proprio di fronte al fiume. Purtroppo avevo preventivato l’uscita dalla città domattina presto per tentare Timbouctù ma le sbarre la polizia le alza alle 7.30 perciò dovrò ridisegnare i miei progetti. D’altronde partendo più tardi dovremmo  campeggiare lungo la strada ed i rischi sono troppo alti. Decido  per un escursione sul Niger in piroga. Sono un classico del turismo maliano ma penso già di noleggiare una barca tutta per me in modo da godere meglio le esperienze che si potranno fare.  Un amico di Ibrahim mi convince ad una escursione per la cifra di 60.000 CFA ed alle 7.00 domattina partiremo. Dopo una doccia stellare si va a cenare in un ristorante famoso nella zona del porto. E’ il Bozo dove gusteremo riso e capitaine e al ricordo della calura patita oggi questa notte mi sono fatto tre docce ed ogni volta saranno brividi intensi di piacere. Alle 5.45 sveglia ed alle 6.00 colazione. Arriva anche Ibrahim che verrà con me sulla piroga, larga circa un metro e mezzo e lunga 10 tutta per noi. Si parte!. La mia attenzione è attirata da due enormi barconi con la scritta Timbuctù . Molte volte ne ho parlato ma in realtà è una cittadina spoglia con stradine impolverate dove il deserto avanza e prima o poi la fagociterà . I lustri del passato sono lontani e oggi è solo una località dove il viaggiatore cerca di respirare, percepire la leggenda che fu. La cosa però mi affascina e vorrei realizzare il sogno. Si naviga intanto in un fiume  non certo alla massima portata. Mi accorgo che stiamo procedendo ad andatura lenta e do una strigliatina al motorista che ingrana così un'altra marca. I primi agglomerati e villaggi non mi dicono molto così decido di proseguire allontanandomi più possibile dalle vicinanze di Mopti. Decido di tuffarmi e tutti mi guardano come fossi un matto ma non bisogna dimenticare che in questo ambiente semidesertico il concetto di nuotata è lontano anni luce ma alla fine, dopo insistenze, anche Ibrahim mi segue. Certe che i rischi sono molti come quello derivato dal verme della Guinea che ti entra sotto le unghie ingrossando il piede ed altri parassiti  ma questi sono pericoli che si corrono prevalentemente in acque stagnati e non correnti. Scendiamo poi a riva in prossimità di un villaggio Peul dove le donne sono tutte a seno scoperto negandomi le foto che vorrei far loro. Vorrei immortalare una Peul con i famosi orecchini kwodenai kanye che sono d’oro e dopo ricerca se ne trova una che dice di possederli e si dichiara disponibile ad indossarli per me ma vuole una cifra esorbitante e rifiuto di farmi turlupinare.  Risalito ancora un tratto di fiume questa volta sostiamo ad un villaggio Bozo che sono uniti ai Dogon da amicizia profonda.. All’interno della famiglia Bozo figli e nipoti sono considerati alla stessa stregua. Il matrimonio si effettua per versamento di dote ed il consenso degli sposi non è richiesto. I Bozo sono poligami ma la prima moglie ha un ruolo privilegiato e funge anche da intermediario tra il marito e le altre spose. Durante la nostra escursione in piroga saranno frequenti gli incontri con loro che dalle piroghe lanciano le reti in modo molto singolare. Sono provetti pescatori e le loro donne si occupano della vendita del pescato. Durante il ritorno ammirerò le famose piname, le cui vele caratteristiche sono realizzate con tele di sacchi di riso. Usciamo da Mopti dirigendoci verso Savare dove sostiamo in un albergo sulla strada. Più tardi Ibrahim mi viene a trovare per saper il da farsi per i prossimi giorni e come gli avevo preannunciato il mio interesse è per Timbouctù ma lui dice che ci sono dei problemi notevoli e uno di quelli è Mohammed. Lui non si fida molto di questo autista e siccome stiamo sforando dall’itinerario previsto teme che possa fare la spia per salire in carriera. Inoltre ci avventureremmo in zona poco sicura. Loro due non sono mai stati a Timbouctù e non conoscono i problemi della zona. Sanno solo che ci sono talvolta Tuareg che depredano ed assaltano. Gli faccio notare che anche lui è un Tuareg ma mi risponde che questo non ha importanza perché ci sono vari gruppi e che quelli che si macchiano di questi crimini sono delinquenti, predoni che nulla hanno a che fare con la politica o la religione anzi la sfruttano. Mi racconta che durante un viaggio nel deserto del Teneré in Niger un commando su una jeep, armato fino ai denti, ha fatto scendere tutti i turisti che stava trasportando e quando lui ha cercato di fare da mediatore gli hanno sventagliato il kalashnikov fra i piedi e a momenti se la faceva addosso. Dice che è gente senza scrupoli e morale inebetiti dall’hashish. Le sue parole mi producono un po’ di effetto ma vedremo domattina cosa diranno i militari al posto di blocco sulla statale per Gao . E’ la mattina del mio sesto giorno di viaggio e nonostante i rischi, nel mio cuore echeggia solo un nome: Timbouctù!. Raggiungiamo il posto di blocco dove Ibrahim rimane chiuso per molto, troppo tempo. C’è qualcosa che non va!. Eccolo che torna!. Dice che è sconsigliabile andarci poiché sulla strada non ci sarà nessuno ed in caso di guasti o problemi con malintenzionati nessuno ci potrà aiutare. Di solito partono i convogli di Sabato viaggiando insiemi, più sicuri e garantiti ma dice che si rifarà alla mia decisione ed anche se ho notato che c’è un po’ di tensione in auto fra lui e Mohammed dice che si sono parlati e per farmi contento sono disposti a rischiare. Il problema non è tanto per l’incolumità personale ma per l’auto che in caso di guasti irrimediabili li costringerebbe ad ammettere di aver sforato l’itinerario ed addirittura in zona pericolosa. C’è un attimo di silenzio nel quale opero un analisi lucida della situazione cercando eventualmente altre alternative a Timbouctù ma evidentemente non c’è nulla che vi si avvicini minimamente. Tuttavia penso anche che loro due hanno cinque figli in totale ed in caso di sfortuna sarebbero stati licenziati in tronco. Per loro questo lavoro è la vita, il futuro, una sicurezza ed anche se la paga è modesta gli consente  almeno di vivere. Non me la sento di essere responsabile del loro disastro così maturo un altro decisione sofferta come quella volta in Dancalia ripiegando per i prossimi giorni verso la zona ad est del Burkina dove ci sono dei gruppi interessanti. Si ridiscende fino a Bankoss in zona Dogon e dopo le esasperante formalità doganali si rientra in Burkina. Qualche villaggio Peul, Barbara, qualche Bella e Tuareg che vanno ai mercati e raggiungiamo Ouaigouya. Abbiamo già percorso un sacco di chilometri e loro vorrebbero fermarsi ma io quasi li costringo a proseguire avvicinandoci di più alla meta. Non credo che sia mai capitato loro di avere a che fare con un matto come me. Oggi li ho sfibrati abbastanza ma anch’io lo sono. Si monta la tenda a sera inoltrata all’interno di una stamberga di infido aspetto. La mattina seguente giudicando il mio aspetto fisico e psichico sarei da cancellare dall’albo dei viventi e se mi vedesse in questo momento qualche partecipante al ballo dei debuttanti di Montecarlo mi darebbe un osso considerandomi un cane. Il caldo mi ha lavorato a puntino in tutti questi giorni  e mi sento fiacco da morire. Percorriamo 200 chilometri in un sahel infuocato tra simpatici villaggi in sterminati paesaggi di savana. Entro in uno di essi scrutandone all’interno le costruzioni. Sono in mattoni di fango ed i muri resistono più a lungo ma comunque ogni tre anni almeno un muro di 40 cm deve essere rifatto. Conosco il capo villaggio, un vecchio che sta riposando su di un rialzo di pietra. Tutti lo riveriscono e la sua parola è legge. Se il capo del villaggio dovesse deliberare in modo del tutto sbagliato il consiglio avrebbe la facoltà di cambiare la linea da agire ma mai deve venire a mancare il rispetto verso di lui. I villaggi sono più vergini e non c’è ombra di turisti. La zona è decisamente bruciata dal sole. Io sono già alla frutta ma non posso fare a meno di  assistere in un villaggio all’opera di un insegnante in un aula zeppa di bambini. Sarà una mezzora di tenerezza infinita fra bimbi visibilmente poveri ai quali qualcuno sta insegnando l’unico modo possibile per uscire dalla loro situazione:lo studio. Il Burkina Faso è un dei primi cinque paesi più poveri al mondo. La siccità l’ opprime a cadenza regolare e la popolazione spesso cade di fame o di sete senza che nessun articolo venga scritto su di loro. Qui non c’è petrolio!!. La nostra meta è Gorom Gorom dove domani vorrei assistere al mercato considerato più bello di tutto il sahel. Dopo Bidi, invece di proseguire lungo la pista chiedo a Mohammed di raggiungere Gorom in fuoripista e farò un esperienza interessante fra gente che probabilmente non ha mai vista turisti ma il caldo sta diventando ancora fortissimo e ci sono ora 48°c  e dopo aver sbagliato direzione due o tre volte raggiungendo la meta. Il luogo non mi dice niente e non mi viene voglia nemmeno di uscire dal nostro Relais de Tourism per visitarlo. Sono ridotto ad uno straccio. Si decide sul da farsi ed io vorrei andare un po’ verso nord a circa 80 km da qui per vedere qualche duna a Mar d’Oursi ma basta uscire dalla tettoia per cadere quasi svenuti dal caldo. E’ terribile vivere tutti questi giorni a medie così pazzesche. Semplicemente scendere dalla jeep è un operazione che provoca mutamenti strutturali al metabolismo. Decidiamo di prendere una guida locale per andare ad ammirare un po’ a nord le prime dune. Partiamo in un clima infuocato, pazzesco e ci si brucia solo a mettere fuori il gomito dal finestrino. Non serve nemmeno trovare un riparo all’ombra perché la calura non ti da tregua, ti toglie il respiro, sei braccato e non riesci quasi a respirare. Dalle 11.00 alle 16.00 non c’è scampo e si può impazzire. Arriviamo alle famose dune che  suscitano una risata sia a me che ad Ibrahim così  ordino il rientro. Sto male!. Sono già bruciato e non riesco più a stare in macchina, non so più come muovermi e mi sento in gabbia. Per stasera la mia guida ha comprato tre biglietti per assistere in un capannone alla finale di coppa Uefa tra Inter e Lazio. Ci sono un sacco di persone che tifano West, il terzino nigeriano dell’Inter e l’unica televisione del villaggio mi regalerà almeno la vittoria della mia squadra del cuore. Domani è giorno di mercato a Gorom Gorom  perciò ci svegliamo più tardi facendo le cose con calma ma sta materializzandosi in me una strana sensazione, mai provata prima d’ora: la consapevolezza della drammatica situazioni climatica. Non posso dimenticarmi quello che ho patito ieri pomeriggio e ho quasi paura di riprovarlo. Dopo la colazione si va al mercato. Lo spiazzo è grande e c’è un sacco di gente che lo anima. Le bancarelle sono semicoperte da una continua serie di tetti bassi di legno sotto i quali avviene il commercio di ogni ben di Dio:spezie, carni, cerali, pesce essiccato, piccoli oggetti casalinghi e tessuti. Ci sono molte etnie: tutte quelle viste fin ad ora. Splendidi dromedari altissimi con in sella i fieri Tuareg si aggirano nelle stradine. Sono momenti entusiasmanti ma il caldo oggi mi pare addirittura esplosivo ed ho paura. Visitiamo la sezione del mercato dedicata agli animali  e poi ripartiamo con l’idea di visitare il lontano parc nacional d’Orly ma so già che non riuscirà a soddisfarmi dopo le esperienze che ho fatto in Zaire al parco Virunga perciò sento lo spettro della delusione davanti a me. Mi rendo conto che il viaggio è finito e quando hai questa consapevolezza perdi anche la forza di volontà, quella dote mentale che ti fa superare ostacoli e difficoltà. Sarà oggi infatti che le mie difese fisiche gia compromesse ampiamente crolleranno e mi porteranno alla soglia del delirio. La temperatura è allucinante. Sono appoggiato al sedile della Land ma non mi sento le forze per rimanere in questa posizione. Fuori ci sono 50°c ed il sole attraverso il parabrezza mi scalda il petto ed ho calore diffuso in tutto il corpo. Non riesco più a sopportarlo, non ho forze e non riesco  a stare eretto. Cerco di far passare il tempo convincendomi a chiudere gli occhi spegnendo il corpo sul sedile ma gli avallamenti sulla strada mi costringono a bilanciare con tensione muscolare ora questo lato ora l’altro ma io forze non ne ho più e non posso nemmeno appoggiare il corpo a destra contro la portiera perché il sole brucia e tanto meno dalla parte di Mohammed. Ormai sono entrato da mezzora in uno stato da incubo. Avverto Ibrahim che di Orly non se ne parla nemmeno e di fermare a Dori(a 50 km da Gorom Gorom). Incredibile!. Prendo la borraccia e mi rovescio sulla testa per una decina di volta un po’ d’acqua per bagnarmi il viso, il collo ma evapora quasi subito. Non vedo l’ora di fermare ad un lodge di Dori,  l’unica possibilità è bere e riposare ma non basterà. Entrati nel paese si va all’hotel Oasis. Dopo aver penato per trovarlo finalmente lo scoviamo ma Ibrahim vuole comprare un pollo da un venditore locale e se lo fa anche pulire. Sia in questo momento che in quello trascorso dalla polizia più tardi mi piegherò in auto con la testa fra le mani. Sto gocciolando e non riesco a stare eretto. E’ incredibile!. Raggiungiamo l’hotel che non è altro che uno spazio con piccoli capannoni in lamiera bruciati dal sole. Dico ad Ibrahim di tirare dritto fino al bar. Riesco ad entrarci trascinandomi all’interno. In tutto il complesso ci siamo solo noi e c’è un clima da caldo dantesco. Mi siedo su una sedia  e mi accascio sul tavolo. Nonostante ciò mi accorgo che non potrò stare molto in quella posizione perché sto scomodo. Semplicemente non ce la faccio, non so perché. Sono accaldato e non mi passa. E’ sicuramente una condizione patologica. Mi portano un acqua minerale calda che trangugio ma non è li il problema. Devo riposare al più presto, al fresco. Dico alla guida di trovarmi una camera ma non è semplice e sembra che il responsabile non si trova ed allora gli chiedo di ottenere il permesso di mettere sotto la tettoia il nostro materassino di gomma ma anche questo non è immediatamente fattibile. Bisogna ottenere anche in questo caso il permesso ma io non ho tempo. Ho la pelle probabilmente a 38°c e sto male anche qui dentro. E’ un incubo!. Metto le gambe su una sedia per trovare una posizione ma non ho le forze per stare in equilibrio. Qui dentro sotto questo capannone in lamiera si soffre di asfissia, non e possibile rimanere. Non so più che fare!. Voglio una camera con condizionatore ma si viene a sapere che non ci sarà elettricità per almeno tre ore, anche più tardi. Mi sembra di impazzire. Ora è a livello psichico che manco ed ho paura. Per fortuna che hanno adagiato dei materassini sotto un tetto di lamiera di fuori. Mi trascino fuori senza più forze e quasi cado sul lettino invece di sdraiarmi. La temperatura è sempre di 50°c , implacabile. Pare di rimanere in bilico tra il sopportabile e l’insopportabile quasi in una sorta di stallo respiratorio. Riesco a togliermi la camicia e gli scarponi. Mi sdraio ma è impossibile per me rimanere qui. Non posso resistere nemmeno mezzora schiacciato da questo caldo disumano, non diretto, ma diffuso che soffoca. Improvvisamente un lampo di genio!. Chiedo se nella camera c’è la doccia e la risposta è affermativa. Forse mi salvo e chiedo ad Ibrahim  di trovarmene una subito. Dopo cinque minuti arriva un ragazzo che mi dice di seguirlo. Non riesco ad infilarmi gli scarponi ma a malapena le calze e a fatica raggiungo il capannone con una temperatura interna da forno crematorio che fa impazzire ma se quello che ho in mente di fare va bene mi salvo. La doccia funziona e congedo il ragazzo. Butto tutto per terra e mi denudo rimanendo in pantaloncini.  Sciacquo la base della doccia e mi siedo. Fortunatamente c’è la prolunga e il rubinetto è a portata di mano. In tutta la mia vita credo di non aver mai provato momenti di gioia cosi intensa e continuata come nel momento in cui il primo scroscio mi ha bagnato il corpo. Per me è una sensazione straordinaria che non può essere tradotta in parole. Rivivo, ed il cuore batte di nuovo, la volontà riemerge dalle profondità più nascoste. E’ come una vincita alla lotteria quando hai gia portato in tribunale gli atti del tuo fallimento. Sono appoggiato al muro, per terra, con la prolunga della doccia al contrario per far risalire l’acqua che poi noto ricade più fresca. In tutto il pomeriggio, sera e notte farò circa una ventina di docce così di circa un quarto d’ora l’una e riuscirò in questo modo anche a sopportare l’incredibile atmosfera della camera. Dapprincipio sarà impossibile per me sdraiarmi sul letto  ma piano piani troverò il modo, mettendo il mio materassino di gomma sopra di esso e bagnandolo superiormente per rendere il giaciglio più sopportabile. Nella prima ora durante i momenti fuori dalla doccia riposerò sdraiato sul pavimento dopo aver schizzato d’acqua dappertutto ed averci buttato l’asciugamano. Dormire in quella situazione è impossibile ma tra una doccia  che mi accarezza, il riposo a terra sul pavimento e poi sul materassino supererò una situazione davvero drammatica da ricovero alla neuro. A cena mangio poco perché non sto bene e per fortuna che domani è il penultimo giorno!. La giornata di ieri sembra un ricordo lontano ma è mia ferma intenzione non ripeterla perché mi salgono i brividi caldi sulla schiena al pensiero perciò decido che si parta presto per sfruttare meglio le ore meno calde. Potremmo raggiungere anche la capitale ma ieri sono stato troppo male durante il giorno così la sosta è programmata a Kaya dopo 170 chilometri. Ci fermiamo verso le 11.00 sotto un baobab per consumare un frugale pasto a base di scatolette e non posso fare a meno di notare quando Ibahim ne da una quasi vuota ad una donna Mossi venuta a guardare quello spettacolo succulento. L’avidità con cui verrà pulita e ripulita da lei e dai suoi due figli dovrebbe suscitare molte domande in noi occidentali!. La strada per Kaya sembra investita da un immenso phon ora e meno male che la cittadina arriva , insieme all’hotel Zoonago che ci ospita. La camera è un loculo, a sinistra la doccia con un basso muretto che la separa dal letto sopra il quale è un enorme ventilatore. Faccio una doccia seduto su una sedia. La morte è scongiurata ma non immaginerò mai ciò che mi aspetterà di notte. Dopo cena mi reco in camera ed incomincia il calvario. C’è una piccola finestra che non si può aprire perché la zanzariera è rotta e la stanza è larga tre metri per tre. Stare sul letto a riposare è assolutamente impossibile perché c’è un caldo asfissiante unito ad una umidità mostruosa. Il ventilatore sopra il letto è come se non ci fosse dato che acceso alla prima tacca non si sente ed alla seconda si rischia la polmonite. Non c’è modo di spostare il letto in altra posizione per via della camera minuscola. L’atmosfera è tombale. L’unico posto dove si sta benino è sotto la doccia ma non posso rimanerci tutta la notte ed ogni volta che ne faccio una aumenta a dismisura il problema umidità. Il clima sta diventando terrificante e ben presto diventa invivibile. Persino le mie due guide saprò al mattino hanno rischiato le zanzare da malaria e dormito sul portapacchi perché dicevano che in camera era impossibile stare. Farò un quarantina di docce lungo tutto l’arco della notte e l’umidità raddoppiata è ormai diventata insopportabile. Sarà un calvario per più di 10 ore filate. L’incubo di nightmare a paragone è una favola di Anderssen. Credo di essermi spento, impastato di sudore dalla testa ai piedi per forse due ore in tutto e penso che l’umidità della stanza abbia potuto spaccare qualsiasi strumento di misurazione. Sul petto, sulle braccia e gambe  mi stanno venendo delle macchie ed il piede sinistro mi si è gonfiato di almeno un quinto. Sono molto preoccupato ma non posso fare nulla tanto meno chiedere un dottore. Dopo ogni doccia  mi sento sempre più appiccicato da umidità. Non c’è scampo e mi pare incredibile, sono braccato e non so che fare!. Apro dalla disperazione la finestrella spruzzando tutto lo spray antizanzara ma non mi fido dato che questa è zona altamente malarica. Vorrei scendere dabbasso ma ci sono anche qui le zanzare. In questo viaggio ho fatto delle esperienze terribili ma per fortuna la mattina arriva anche se mi presento come uno straccio ad Ibrahim che non si capacita di come abbia potuto sopportare quel clima incredibile. Dopo colazione si riparte per Ouaga facendo un giro turistico della capitale. Transitiamo da alcune piazze gradevoli come la Place de la Rivolucion, luogo di comizi e poi pranziamo con un capitaine. Mi è rimasta addosso una fiacchezza indecifrabile che mi accompagnerà anche a Milano per molto, molto tempo. Ne ho passate tante finora durante i miei viaggi ma quello che ho subito in Mali ed in Burkina ha superato davvero la mia immaginazione e sono contento di aver portato a casa la psiche intatta.

 

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