2008 MAROCCO
Un Paese " IMPERIALE "
Un paese vicino, ma estremamente interessante il Marocco. Dalla Malpensa al Barajas di Madrid e quindi l’ultimo salto fino ad atterrare a Casablanca. Sono le 22.20. Ritiro l’auto, una piccola Daihatsu Sirion. L’intenzione è di trovare un albergo nei pressi dell’aeroporto, ma un autostrada porta velocemente alla città, perciò decido di raggiungerla ed avere più liberta di movimento domattina. Dopo notevoli peripezie nel buio di una Casablanca sconosciuta, rintraccio un hotel nel quale trascorrere la notte. Alle sette del giorno seguente sono già in piedi e dopo colazione, prendo un petit taxi fino alla Cathedral du Sacre Coer. Niente di che, ma è il punto segnalato dalla mia guida cartacea per visitare il centro, dove l’architettura è una mescolanza di design francese e tradizionale marocchino. Raggiungo la grande Place Mohammed V circondata da molteplici edifici governativi, dopodiché mi reco verso l’attrazione principale della città: la grande moschea Hassan II, la terza più grande del mondo. Può accogliere fino a 25.000 fedeli all’interno ed oltre 80.000 nel cortile. Il suo minareto svetta con i sui 210 metri e di notte proietta un raggio luminoso in direzione della Mecca. Tutto il complesso è impreziosito dalle celebri piastrelle marocchine zellij, dalle tonalità bianche e azzurre. L’interno è enorme e il pavimento riscaldato. Più di 6.000 artigiani lavorarono alla sua costruzione. Altro petit taxi e ritorno in albergo. Riprendo l’auto e mi dirigo a sud, verso la cittadina costiera di El Jadida dove giungo dopo un ora e mezzo. Parcheggio proprio di fronte alla cinta muraria della Citè Portugaise, un compatto labirinto di vicoli circondato da robusti bastioni color ocra. Fortezza portoghese e loro avamposto in terra marocchina è dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Mi diverto a girovagare al suo interno, ammirando la chiesa, la moschea, i bastioni molto belli. Qui le navi scaricavano le merci che entravano in città attraverso un cancello ancora visibile. Una visita alla cisterna sotterranea e poi un frugale panino di carne trita, in un dubbio locale fuori le mura. Riparto e anche se la mia speranza sarebbe quella di raggiungere la lontana Essaouira, opto alla fine di fare overnight nell’affascinante località balneare di Oualidia. In questo modo mi regalerò la prima grande esperienza gastronomica. Qui infatti prenoto all’Ostrea II, proprio di fronte all’idilliaca laguna a forma di mezzaluna, orlata da sabbie dorate e protetta dalle onde dell’oceano. La cena sarà sublime: 12 ostriche coltivate localmente ed un filetto di St.Pierre, bagnato con un ottimo vino bianco marocchino. Soddisfatto mi rifugio nel motel vicino al mare, l’Araigneè Gourmande, non prima di aver passeggiato sulla spiaggia in perfetta solitudine. Il canto degli uccelli marini, sdraiato sulla sabbia, disegna una magia psichica che alimenta la felicità. L’indomani mi sveglierò molto presto, alle 5,30. Raggiungo Essaouira alle 9.15 e dopo aver rintracciato l’alloggio per la notte, mi dirigo verso la medina (il centro vecchio) insignita anch’essa dell’appellativo di patrimonio dell’umanità. Vi accedo dalla porta principale, la Bab Douakala. Innumerevoli vicoli con moltissimi negozietti d’artigianato. Qui si producono interessanti oggetti in legno di Thuja, un legno pregiato dal delizioso profumo, che cresce in grande abbondanza nella regione. Già i Fenici nel VII secolo fondarono una base in questo luogo. Raggiungo i bastioni alla Skale de la Ville, da cui ammiro l’imponenza delle onde atlantiche. Molte scene dell’Otello di Orson Welles furono girate proprio in questa Skale, dove un certo numero di cannoni sporgono dalle feritoie. Il tempo è nuvoloso e minaccia pioggia. Proseguo la visita lungo l’arteria principale che da sulla Place Orson Welles e la Skale du Port che conduce ai moli. Salgo sulla torretta, dalla quale si gode un panorama mozzafiato sulla piazza, la medina e le fortificazioni. Visito la zona del porto, dove i pescatori stanno pulendo il pescato, circondati dallo schiamazzo dei gabbiani e quindi pranzo in una delle tante bancarelle che propongono pesce freschissimo. Nel primo pomeriggio il tempo peggiora e mi costringe a percorrere vie e vicoli sotto la pioggia. Completamente zuppo, ritorno in albergo, sistemando tutte le mie cose per domani e preparandomi per l’uscita serale al ristorante La Licorne , nei pressi dei bastioni. Anche qui grande esperienza in un luogo d’atmosfera, con colonne di pietra a vista. Il vino sarà un superbo Semillant blanc cuveè du president di 13° che bagnerà un insalata marocchina condita con l’olio d’Argan e un ottimo St. Pierre, come ieri sera. Torno in hotel solo dopo una piacevole passeggiata notturna sui bastioni. Quarto giorno di viaggio e anche stamattina levataccia alle 5.30 Devo raggiungere Marrakech. Parto alle 6.00, ma mi accorgo d’aver un problema di stabilità. Dannazione, ho bucato una gomma! La sostituisco mentre cominciano a scendere gocce di pioggia, ma il problema più grave lo riscontro più tardi, durante una sosta in un distributore di benzina dove spero di far sistemare la ruota. E’ troppo presto e non c’è ancora il gommista, ma scendendo mi accorgo di una ammaccatura sul lato sinistro del paraurti anteriore. Qualcuno deve avermi tamponato durante la notte. Che disdetta! Cosa racconterò ora al rent a car? Sono preoccupato. Quanti problemi devo già risolvere e sono solo in viaggio, durante il quale devo pensare a mille cose. Riparto con un tempo che non promette nulla di buono. Nei pressi della cittadina di Chouchoua, la polizia mi intima l’alt. Sembra che non mi sia completamente arrestato ad uno dei loro posti di blocco. Mi chiedono la follia di 400 dirham. La disputa terminerà con 100 nelle loro tasche corrotte. Più avanti faccio riparare la gomma bucata e a metà mattinata entrerò in Marrakech. Alloggerò all’El Bustan, un casermone abbastanza economico. Con un peti taxi mi reco alla più famosa moschea della città: la Koutoubia. La si iniziò a costruire nel 1147 ed in seguito servì da modello per la Giralda di Siviglia e la torre Hassan di Rabat. Il minareto, alto 70 metri è realizzato in pietra rosa. Comincia a piovere. Non è un acquazzone, ma è fastidioso. Per fortuna ho con me l’ombrellino da viaggio. Giungo alla famosa Place Djemaa el Fnaa, chiamata dai locali semplicemente “la Place”. E’ un immensa piazza, situata nella medina che fa da cornice ad uno spettacolo di rara bellezza. E’ lo scenario di una miriade di attività che trovano di sera la loro apoteosi. Ci sono chioschi che preparano cibo all’aperto, giocolieri, cantastorie con gruppi di persone intenti ad ascoltarli, incantatori di serpenti. Nel 2001 l’Unesco ha dichiarato la piazza capolavoro del patrimonio orale ed immateriale dell’umanità. Dalla Place mi dirigo a nord lungo la rue Mouassine. I soliti negozi di artigianato. Entro nel souq Sebbaghine, il souk dei tintori, dove la lana tinta di fresco è appesa ad asciugare. Più avanti una zona di venditori di babbucce. Quindi verso il Dar el Bacha, il famigerato ex palazzo del Pascià Thami el Glaoui che però è sotto restauro e quindi chiuso. Risalgo la rue Mouassine fino al museo di Marrakech. Acquisto il biglietto che mi consente anche la visita del vicino Koubba e della medressa di Ben Youssef. Il museo ha sede in un riad ottocentesco. Ha un bel cortile, intorno al quale si affacciano le sale espositive con artigianato berbero, gioielli. Molti ambienti propongono belle fotografie con scorci africani. Esco e scendo al Koubba Ba’adiyn. E’ un santuario, reliquario, antecedente alla costruzione della medressa ed è l’unica struttura della Marrakech almoravide risparmiata dai successivi Almohadi. Si ritiene che ospitasse gli ambienti per le abluzioni della vicina moschea. Ultima visita del trittico, la bella medressa Ali Ben Youssef. Nel 1564 restaurata dai saaditi, divenne la più grande scuola teologica del Maghreb. Nel cortile centrale c’è una vasca di marmo per le abluzioni. Si notano elaborate decorazioni a stucco con basi di piastrelle zellij, talvolta sormontate da elaborati cedri scolpiti. Uno splendido portale fa accedere alla sala della preghiera e al piano superiore si ammirano le 132 anguste celle per gli studenti. Ritorno alla Place e vado a bere un caffè su una delle terrazze dalle quali si gode uno dei più affascinanti panorami possibili. Giù in basso si svolgono i preparativi per la sera, quando l’animazione raggiungerà il culmine. Ridiscendo, entrando nella zona dei souk e quindi nuovamente alla Place, completamente animata ed immersa nelle luci della sera.. E’ una autentica magia con tutti quei banchi di gastronomia, di datteri, di cioccolato, di arance dove si gustano straordinarie spremute. Ora ha smesso del tutto di piovere e dopo aver un bel po’ girovagato, salgo su uno dei ristoranti sulle terrazze. All’Arganà gusto un ottimo tajine d’agnello con fagiolini e carciofi. Questo famoso stufato tipico marocchino, viene servito in ciotole di terracotta e realizzato con differenti tagli di carne. Un coperchio, anch’esso in terracotta mantiene la carne umida. E’ un piatto straordinario, al pari del cous cous, un simbolo del Marocco. Resto ancora un po’ ad ammirare la piazza e quindi faccio ritorno all’albergo. Dopo una serena nottata riposante, eccomi pronto per il mio secondo giorno a Marrakech. Il cielo è terso, preannunciando il bel tempo prossimo venturo. Col taxi scendo prima alla moschea Koutoubia, finalmente illuminata dal sole e poi via al Palais el Badi, il più famoso dei palazzi cittadini. Edificato da Ahmed el Mansour nel 1600, a quei tempi era considerato uno dei palazzi più belli del mondo, tanto da essere conosciuto come “l’incomparabile”. Oggi, parte del complesso è stato inglobato nell’adiacente palazzo reale del dar el Makhzen. Ciò che rimane sono le possenti mura, disseminati di nidi di cicogne. All’entrata ammiro la vasca centrale di 90 metri, circondata da aranceti e giardini. La struttura a ovest è il Koubba, usato come sala delle udienze, con le sue 50 colonne di marmo. In una sala vicina ammiro il minbar (pulpito) della Koutoubia. Salgo ad un punto di osservazione superiore, che mi consente un ottima visuale anche della place de Ferblantier. Da qui mi reco a piedi alla bella moschea della Kasbah e alle vicine tombe saudite. All’interno, dentro singole sale, sono conservate appunto le tombe dei principi sauditi, tra cui Ahmed el Mansour. Vorrei recarmi ora al Palais de la Bahia, ma sbaglio direzione finendo al Mechouar (luogo delle parate) e all’entrata del palazzo reale. Ritorno alla Koutoubia. Ne vicino ufficio turistico chiedo le condizioni della strada per l’Alto Atlante, che vorrei percorrere domani. Sembra che sia aperta e meno male! Come avrei potuto raggiungere il deserto in altro modo? Un ottima spremuta d’arancia, mentre il sole splende ora sulla Place. Ridiscendo e girovago nelle laterali della rue Souk Smarrine, la via dei negozi, per la maggior parte coperta. E’ una profusione continua di locali commerciali estremamente affascinanti. Sono l’emblema della medina. Ciò che si ricorda di più. Nella Place Qedima è presenta un mercato con bancarelle di tessuti e spezie. Li vicino è il Criè Berbere, il souq dei tappeti, dove fino al 1912 venivano messi all’asta gli schiavi. Tornato alla Place e preso un peti taxi mi faccio portare al Palais de la Bahia, costruito da due gran Visir (consiglieri del sultano). Ci sono giardini con alti alberi e circondati da stanze, sale delle udienze, alloggi. Sono presenti stupendi portali in legno di cedro intagliato. Le volte sono in stucco decorato. Esco dirigendomi verso il museo Dar Si Said, ma è chiuso, perciò ridiscendo verso la Place, ritornando a piedi all’albergo. Cenerò al vicino Jaracanda. Bei quadri alle pareti e lampade ai tavoli. Come entrata un assiette tout canard (villette, fois gras e magret fumeè) e poi un cous cous d’agneau(agnello) aux legumes. Il vino rosso marocchino Cepage cabernet sauvignon di 12° mi farà volare in paradiso. La cena è stata allietata da due cantanti, chitarristi in un ambiente delizioso. Ottimo caffè Lavazza e quindi torno in albergo. Domattina è in programma un'altra lunga giornata di escursioni. Parto alle 7.15, dirigendomi verso le montagne. La strada è piacevole, con vegetazione di conifere e oleandri. Finalmente, dopo Tiddert, si sale. Pian piano compare la neve e di tanto in tanto qualche bancarella che vende reperti fossili della zona. Il paesaggio è magnifico, ma ci sono molti camion e si deve prestare attenzione. Giungo al Tizi N’ Tichka a 2.260 metri. La Gendarmeirie controlla il flusso dei veicoli. Ridiscendo, tornando ad un ambiente brullo, predesertico. Dopo una prima indicazione che quasi mi fa perdere nel nulla, riesco infine ad arrivare alla celeberrima Ait Benhaddou. Carico un ragazzo che mi farà da guida e con lui scendo sino allo uadi che guadiamo in groppa a dei muli. La kasbah che sto per visitare è dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, senz’altro ben conservata, anche grazie alle ingenti somme provenienti dalle produzioni di film aventi come location questo luogo così esotico. Qui furono girate scene da Laurence d‘Arabia, Gesù di Nazareth, il Gladiatore. Molte case tramutate in negozietti di souvenir e poche abitate. In una di queste entro con la mia guida. Sulla parete, delle foto che ritraggono il padrone di casa con Russel Crowe, che sembra gli abbia regalato lo scudo usato durante i combattimenti. Girovago per un po’ fra case merlate e torrioni, in buon stato di conservazione. Ritorniamo all’auto, saluto e proseguo verso la destinazione finale di questa tappa, la cittadina di Ouarzazate, dove alloggio all’economico Royal. Mi reco quindi a Tourirt, all’estrema periferia, l’unico sito turistico di rilievo della zona. Dopo un frugale pranzo, visito la famosa kasbah, che negli anni 30 ospitava numerosi membri della dinastia Glaoui, in pratica coloro che dominavano tutta la zona circostante. Giro fra cortili e stanze fino a giungere ad una ampia terrazza dalla quale la vista spazia a 360 gradi tutto intorno. Ritorno quindi sui miei passi, dirigendomi sino agli Atlas studios, gli unici visitabili, e uno degli studi cinematografici dove vengono girate alcune scene dei film che richiedono location come solo questi luoghi possono offrire. All’interno ammirerò il finto monastero tibetano costruito per il Kundum di Scorsese, i set egiziani di Asterix e Obelix e la ricostruzione di Gerusalemme di The kingdom of heaven con Orlando Bloom. Quasi tutto è prodotto con la cartapesta. Ritorno in città e tiro sera, prima di cenare da Chez Dimitri, l’unico ristorante serio della zona, e dove tutte le star del cinema vengono a gustare le specialità locali. Alle pareti, più di 50 foto di personaggi famosi, fra cui Marlon Brando, Paul Newman, Lea Massari, Omar Sharif, Sharon Stone. Come entrata gusterò un ottimo assiette de fromage e quindi un tajine poulet con datteri e fichi della valle di Draa. Il vino rosso “S” di Siroua del 2000 delizierà il palato fino al sonno serale. L’indomani parto alle 6.00 dato che il programma che mi sono imposto di seguire è impegnativo. Nel buio ancora dell’inverno marocchino percorro un lungo tratto di hammada (deserto pietroso) finché i primi raggi di luce m’illuminano il paesaggio. Bei villaggi color ocra, dovuti a realizzazioni in paglia e fango. Ecco Boumalne du Dades. Rapida colazione e via lungo la valle del uadi Dades, con bellissimi canyons in parte deturpati da un abusivismo edilizio selvaggio. La strada sale fra piacevoli formazioni rocciose, ksar e kasbah fino a delle stupende gole che sono la parte più interessante del percorso. Dopo il villaggio di Ait Youl, la strada scorre per un po’ a lato del uadi, fra gole altissime. Salgo poi fra tratti entusiasmanti, e quando l’interesse smorza, torno indietro a Boumalne. Via velocemente a Tinerhir dove seguo un'altra valle ricca di palmeti e villaggi berberi. La gola che si ammira in questa valle del Toudra è una profonda fenditura nell’altopiano che divide l’Alto Atlante dal Jebel Sarhra. Nel suo punto più stretto raggiunge i 300 metri di altezza. Ho corso tanto per avere la chance di ammirare queste gole di mattino, quando il sole riesce ad infiltrarsi e ad illuminarle. Proseguo lungo una stretta strada, accidentata e pericolosa a causa del ciglio collassato in più punti. Il mio scopo è di giungere al termine della parte asfaltata, dove è il villaggio di Tamtattouchte. Belle kasbah, popolazione gentile e l’occasione di entrare in una scuola. I bambini sorridono alla foto, dopodichè riprendo la strada del ritorno. Giunto nuovamente a Tinehrir, proseguo fino a Tinejdad dove spero mi sia possibile deviare per Erfoud, evitando di percorrere un tratto molto lungo fino al deserto. L’unico problema è informarsi sulle condizioni della strada e se sia percorribile da un veicolo normale come il mio. Per fortuna le notizie sulla percorribilità sono positive. In questo modo avrò certamente più chance di raggiungere Erfoud e il lontano Erg Chebbi, dove spero di poter organizzarmi qualche buona escursione nel deserto. La strada scorre su un tavolato piatto e desolato, superando piccoli villaggi dove di evidente c’è solo la veste nera delle donne. Giungo ad Erfoud, famosa per i suoi datteri. Ha inizio la parte più enigmatica del viaggio. Prima che fosse costruita la strada per Merzouga, questa era la base principale dei turisti, che poi dovevano utilizzare i servizi locali per godere del fascinoso deserto. Ho chiesto più volte a Milano, e tutti mi assicurarono che sia da Erfoud, che da Rissani, sarebbe stato possibile raggiungere le dune di Merzouga senza problemi, attraverso una strada asfaltata. Mai avrei perciò pensato di trovarmi di fronte dopo una ventina di chilometri alle sabbie del deserto. La strada infatti, improvvisamente si interrompe, tramutandosi in pista sabbiosa. Avendo notato due jeep proseguire lungo una pista laterale, decido di seguirle, ma ben resto realizzo l’impossibilità a proseguire senza correre il rischio di insabbiarmi, e proprio mentre sta per scendere il tramonto. In breve le jeep si allontanano ed io resto solo nel nulla. E’ un azzardo e decido di tornare sui miei passi, fin dove ho incrociato l’ingresso di uno sperduto auberge nel deserto. Parlo con un berbero vestito di tunica tradizionale, con il quale mi metto d’accordo per farmi accompagnare col suo fuoristrada fin sotto le dune. E’ l’unica cosa sensata da fare. Domattina insieme a lui farò l’intero periplo dell’erg Chebbi. Per intanto, con la sua Toyota raggiungiamo le dune nei pressi dell’auberge Jasmine. Ce ne sono molte di queste strutture alla base delle dune e sono la base per escursioni tutto intorno. Sistemo le mie cose e parto subito dopo in direzione delle stesse, per ammirare il classico tramonto sulla sommità di una delle più alte. La salita è ripida, ma alla fine eccomi alla cresta. Per 300 gradi sono circondato da un mare di sabbia. La luce dell’imminente tramonto colora la sabbia di tonalità ocra fuoco. E’ una magia che mi godo in splendida solitudine. Il mio auberge è distante. Si scorge a mala pena. La giornata termina così, con il ricordo di questo stupendo panorama. Il giorno seguente la sveglia è presto, alle 6.30 e dopo colazione parto con la mia temporanea guida, Hidir, in direzione del versante orientale dell’Erg Chebbi, l’unico vero erg sahariano. E’ una catena imponente di dune mobili di sabbia che raggiunge i 160 metri d’altezza, e che sembra fuggita dai molto più grandi campi di dune della vicina Algeria. Non ci sono buoni rapporti con questo paese e lungo il confine, non troppo specificato ci sono soldati che sorvegliano. Circumnavighiamo l’erg, incontrando anche un paio di accampamenti berberi. Visiterò uno di questi campi, realizzati in paglia e fango. Vi restano finché le condizioni permettono la loro sopravvivenza, per poi ripartire verso un luogo più adatto. Proseguiamo raggiungendo Merzouga, dove sono presenti la maggior parte delle strutture turistiche. Nella primavera del 2006 qui ci fu un inondazione che spazzò via tutto. Il terreno è troppo duro per assorbire grandi quantità di pioggia. Le capanne, gli auberges, subirono danni ingentissimi e vi furono anche alcuni morti. Il tour sta per terminare. Hidir mi riporta dove ho lasciato la mia auto, lo pago e riparto. Ritorno ad Erfoud proseguendo poi fino ad Er Rachidia. Il panorama cambia in continuazione. In alcuni momenti, ammiro paesaggi che paiono imprestati dall’Arizona. Splendidi! Montagne di roccia arenaria dalle forme variegate, spettacolari. Mi concedo una omelette e riparto in direzione del tunnel du Legionnaire costruito dai francesi, quindi giungo alle bellissime gole dello Ziz con il fiume dalle acque turchesi giù in basso. Fino a Midelt sarà un percorso affascinante in mezzo alle montagne, a paesaggi innevati. Da qui imbocco una strada secondaria che mi conduce sino a Boulemane, attraverso distese desertiche. Alla mia sinistra la catena del middle Atlas, che salgo fra scenari emozionanti, campi sterminati e piccoli villaggi caratteristici, case di contadini e allevatori. Questo è il vero Marocco! Il mio scopo è trascorrere la notte in qualche località vicino a Fez, ma tutto sta proseguendo come meglio non potrebbe. Sono già a Sefrou verso le 17.00. Cala la nebbia, durante la discesa verso questa famosa città imperiale. Nonostante le scritte in arabo, grazie alla cartina in mio possesso, riesco comunque a rintracciare l’hotel de la Paix che mi sono prefisso, sulla Hassan II. Dalla reception, mi faccio prenotare lo Zagora, uno dei migliori ristoranti della ville Nouvelle e prossimo all’albergo. Con il sottofondo musicale di un suonatore di oud, gusto una zuppa harira(spaghetti corti e legumi) e una tajine d’agneau con legumi e prugne. Il vino, straordinario, è un cabernet medaillon, gran riserva superiore del 2005 (13.5°). Domani mi dedicherò alla scoperta della città. Alle 8 in punto sono già di fronte al museo Dar Batha. Allestito in un palazzo ispano moresco, ospita una collezione di artigianato marocchino. Molte sale espositive sono chiuse, ma nel complesso è una visita interessante. Mi reco dopo alla famosa Bab Bou Jeloud, l’ingresso principale della Medina, davanti alla quale partono le due vie più importanti di Fez el Bali: Talaa Kebira e Talaa Seghira. Percorro la prima, incontrando quasi subito la medressa Bou Inamia, una delle più belle scuole coraniche della città. Dal cortile interno si intravede il bel minareto, fantastici portali. Il palazzo è ad un solo piano, dove sono presenti anche le stanza degli studenti. Il cortile è lastricato di marmo e onice. Le tre bande decorative delle pareti sono sempre di piastrelle zellij, scritte in corsivo e con elaborati stucchi in alto. La sala della preghiera, visibile dal cortile ha un mihrab e un minbar. Proseguo sulla stessa arteria, oltrepassando la moschea Gizleane, una delle 350 della Medina. Nei pressi del souk dell’hennè, che tuttavia di henne non vende nulla, giungo alla famosa place An Nejjarine, dominata da una delle più belle fontane della città. Tornato nella via, noto che molti muli stracarichi di pelli, entrano in un cortile. Non posso non entrare a curiosare, ma devo stare attendo ad appoggiarmi da qualsiasi parte, dato che è tutto bagnato e sporco. Qui vengono tolti alle pelli tutti i peli e anche le parti residue di carne con una specie di spazzolone di legno. Nuovamente caricate sui muli saranno poi portate nella zona dai conciatori. Esco con addosso un odore insopportabile. Proseguo fino a raggiungere ancora la piazza precedente, dove è il museo Nejjarine, dell’artigianato ligneo. E’ allestito nelle sale che si aprono intorno al cortile centrale. Ammirerò mobili, porte, sedie, comò, tutto pregevolmente intagliato e originali serrature berbere. Uscito, procedo in direzione del mausoleo di Moulay Idriss II. E’ vietata l’entrata ai non musulmani, ma riesco comunque ad ammirare il pregevole ingresso piastrellato. Decido ora di concedermi una sosta presso la famosa patisserie Koutoubia, dove mi gusto un ottima fetta di torta, seguita da un caffè. Raggiungo quindi la caratteristica place as Seffarine, dove decine di calderai picchiettano in continuazione, creando col fuoco pentole di rame che modellano con arte. E’ una piazza d’altri tempi. Intorno c’è la moschea e università Kairaouine, uno dei centri di cultura più antichi e prestigiosi del mondo islamico, seconda solo a quella di Al Azhar del Cairo. Entrambe non si possono entrare, perciò ammiro solo l’ingresso ed il cortile della moschea, con la fontana delle abluzioni. Il pavimento del cortile è lastricato con 50.000 piastrelle zellij. Mi dedico ora alla zona dei tintori. Non è semplice arrivarci, perché è un insieme di vicoli e viuzze fatte apposta per perdersi, ma seguendo un ragazzo, raggiungo una tettoia dalla quale ammiro uno dei colpi d’occhio più emozionanti del Marocco e dell’intero Maghreb. Sui terrazzi adiacenti, sono stese decine di pelli ad asciugare. Senza aiuto non avrei mai trovato il sito, dato che si trova in uno spiazzo all’interno delle abitazioni. Giù in basso ci sono decine di vasche circolari, con all’interno le tinture di vari colori. Una volta erano prodotte solo con prodotti vegetali, ma ora sono utilizzati anche quelli chimici. I tintori sono al loro interno, fin quasi alla vita. Il pellame marocchino, specie quello prodotto a Fez è apprezzato da secoli ed è ritenuto uno dei migliori del mondo. Il Marocco vanta una tradizione millenaria nella concia delle pelli e dall’età medievale a oggi, le tecniche non sono cambiate di molto. Le vasche sono costruite secondo un modello invariato nel tempo, se non nel rivestimento in moderne piastrelle di ceramica. I conciatori sono tuttora organizzati in corporazioni di stampo medievale, dove il lavoro si trasmette dal padre al figlio. Scendo le scale, raggiungendo il cortile. Da vicino l’ambiente assomiglia ad un inferno dantesco. Non so dove mettere i piedi, dove camminare. C’è solo un perimetro possibile e spesso vi transitano i muli, stracarichi di pelli. In terra una poltiglia che emana un fetore indescrivibile. Non si può toccare nulla, senza impiastrarsi. Si dice che ai turisti vengano fornite foglie di menta da tenere vicino al naso, per resistere al lezzo. Immaginarsi che tra i principali ingredienti utilizzati per la concia, rientrano gli escrementi dei piccioni e l’urina di mucca (per il potassio), mescolati con la cenere, oltre a sostanze più delicate come lo zafferano, l’indaco, il papavero, usate come coloranti. La pelle degli animali viene prima trasformata in pelle morbida e resistente, immergendole nelle vasche con una soluzione ricavata dalla corteccia del melograno. Poi vengono stese ad asciugare e quindi colorate dopo averle ammorbidite con una soluzione grassa. Mi muovo come un invasato, filmando e fotografando un luogo che trasuda tradizione ad ogni angolo. Osservo le espressioni dei lavoratori, le loro movenze. Poter assistere nel terzo millennio a rappresentazioni così crude di vita reale, proveniente dai corridoi della storia è un assoluto privilegio. Uscito dal sito, passeggio per un po’ senza meta, osservando i negozi di artigianato. Scendo gli scalini di uno tra i più belli, e dopo estenuanti contrattazioni, acquisto uno stupendo vaso in ceramica locale, decorato esternamente con una maglia d’argento. Torno in albergo a depositare il pacco, riuscendone subito dopo e facendomi portare con un peti taxi nei pressi del palazzo Reale, il Dar el Makhzen. Ancora oggi viene utilizzato dal re del Marocco quando in visita a Fez. Il portale in stile moresco è magnifico, con porte di bronzo dalle raffinate incisioni. Raggiungo quindi la piazza principale, dove mi concedo un sandwich con polpette in una bancarella li presente. Da qui mi dirigo verso il Vieux Mechouar, un ampio terreno da parata circondato da mura e da due belle torri laterali, usato per le cerimonie militari. Con un petit taxi, mi dirigo quindi verso il museo Dar el Batha. Purtroppo è chiuso per restauro, perciò ridiscendo l’arteria centrale, la Talaa Seghira e dopo una sosta per un caffé, riprendo in direzione della moschea Andalusa. Fu fondata più di 700 anni fa dalla sorella del fondatore della Keraouine. Ammiro il bel portale a nord in cedro intagliato dopodiché, davvero spossato dalle lunghe camminate ritorno in albergo. Per cena mi recherò al Le Cheminee, dove gusterò una harira fassia e un tajine poulet aux citron et olive. Il vino sarà un ottimo Cabernet Sauvignon di 12 gradi. L’indomani mi sveglio per l’ennesima volta presto. Alle 6.15 infatti sono già in auto, direzione Meknes, distante circa 50 chilometri. Devio quindi verso nord, raggiungendo poco dopo l’orario d’apertura, il celeberrimo sito archeologico di Volubilis. Definito dall’Unesco patrimonio dell’umanità, il luogo iniziò a prosperare già durante il terzo secolo avanti Cristo, sotto i re di Mauritania. Quando la regione fu annessa a Roma nel 45 DC, Volubilis si vide attribuire il titolo di città autonoma. Dopo il ritiro dei Romani nel III secolo, la città andò in declino. Prima abitata da cristiani, venne in seguito islamizzata nel 788 da Moulay Idriss il cui mausoleo è sito in una cittadina poco distante da qui. Inizio la visita da ovest dove è la villa di Orfeo, con i resti di una piscina impreziosita da un bel mosaico. Quindi il Campidoglio con il suo altare per i sacrifici. In alto, sulle colonne i nidi di alcune cicogne. Il Campidoglio e la Basilica formano un ottimo gruppo monumentale. Proseguendo, visito il bel Arco di Trionfo di Caracalla. L’arco guarda verso una pianura da un lato e il Decumunus maximus dall’altro. Quest’asse principale è lunga 400 metri, largo 12 e conduce alla porta di Tangeri. Lo percorro tutto, restando affascinato lungo il percorso del ritorno dalla villa di Venere, dove sono presenti due mosaici tra i meglio conservati. Quello di Diana e le ninfe al bagno è davvero stupendo. Il sole appena sorto mi ha regalato durante tutta la visita del sito, scorci davvero emozionanti, in una splendida solitudine. Riparto sostando per colazione in un locale vicino dopodiché raggiungo Meknes e il Majestic, già in precedenza individuato sulla mia guida. Altro taxi e via alla volta della Medina. Sono le 10.30, in perfetto orario sul programma che mi ero prefisso. Scendo a Place El Hedim, la grande piazza che si apre di fronte alla Bab el Mansur, la più grande di tutte le porte del Marocco. E’ ben conservata e riccamente decorata da eleganti zellij. La struttura fu ultimata dal figlio di Moulay Ismail nel 1732. In origine era teatro delle pubbliche esecuzioni e dei proclami reali. Attraverso tutta la piazza, ricca di bancarelle e locali oltre all’entrata del mercato coperto. Seguo le indicazione della mia guida percorrendo il circuito della Medina, ma prima entro nel museo Dar Jamai. Vi vengono esposte opere dell’artigianato marocchino come vasi, posaterie, gioielli e vestiti. Uno dei momenti più interessanti è la visita alla tradizionale camera da letto marocchina. Uscito dal museo e attraversato l’arco, entro nella medina come al solito immerso nel caos della gente e delle bancarelle. Ci sono qissariat (mercati coperti) e bancarelle d’ogni tipo. Attraverso la rue Nejjarine giungo ala grand Mosquee, appena visibile e naturalmente vietata ai non musulmani. Tornato di nuovo nella piazza, sosto per il pranzo in uno dei localini con tavoli all’aperto, ammirando la vita locale. Attendo poi fino alle 15 nei pressi del Qubba. Il Koubbat as Sufara era il luogo dove un tempo venivano ricevuti gli ambasciatori stranieri. A lato dell’entrata si scende in una cripta, sostenuta da molte colonne e utilizzate un tempo per conservare il cibo. Da qui mi reco al vicino mausoleo di Moulay Ismail, dove si trova la tomba del sultano che fondò la città, nel XVII secolo. La camera sepolcrale consta di tre sale, tra cui quella delle abluzioni con al centro una fontana, la sala con la tomba del sultano e quella col sepolcro della moglie. All’uscita del sito scorgo un calesse per turisti con il quale faccio un giro nella zona del palazzo reale, fino al Mechouar e la zona del bacino dell’Aguedal, con piacevoli passeggiate intorno allo specchio d’acqua. Ritornato alla piazza vi noto un maggior movimento. Mi concedo un buon tè, ammirando la vita che vi si svolge intorno. Tornato in albergo, sistemo ogni cosa. Questa sera non mi sento troppo bene. Opterò per una semplice pizza. Domattina, colazione nella sala ristorante dell’albergo alle 6.00 e partenza, con l’intenzione di raggiungere il parco nazionale di Merdja Zerga, dove in questo periodo dell’anno sembra che sia presente una grande concentrazione di uccelli. Il tempo però non è dei migliori. E’ presente una fastidiosa pioggerella unita ad una nebbia insidiosa che mi costringe a raddoppiare l’attenzione alla guida. La direzione è verso nord, ma più copro chilometri, più realizzo di aver la chance di raggiungere persino Tangeri, sulla costa mediterranea. Fino a Larache, sulla costa, è un susseguirsi di strade percorse con la pioggia, ma poi il tempo si schiarisce e percorrendo l’autostrada, la raggiungo in un battibaleno. Devo trovare un parcheggio dove lasciare l’auto. Fortunatamente, dopo aver chiesto informazioni ad un poliziotto, è proprio lui che mi vorrà accompagnare, dato che nei pressi della caserma dove si deve recare, ce n’è uno idoneo. Con lui parlo in spagnolo e mi racconta un po’ della città. Alle mie domande sulla pericolosità del luogo, mi informa che non è più così. C’è molto controllo ora e questo funge da deterrente per i malintenzionati.. Lo ringrazio, parcheggio e prendo poi un taxi fino a Grand Socco, la piazza principale di Tangeri. Questo nome da sempre evoca mistero, traffici internazionali, malavita e prostituzione, perciò non nascondo di avvertire una certa apprensione quando entro in rue Semmarine, attraverso una delle vecchie porte intorno alla città. Mi sembra di avere tutti gli sguardi addosso, ma forse è solo un impressione. Cammino lungo la As Siaghun e dopo aver oltrepassato la chiesa dell’Immacolata Concezione, scendo fino alla celeberrima Petit Socco. Oggi è una piazza con locali che si sviluppano esternamente. Non pare avere alcunché di ambiguo, ma non molto tempo fa, qui si svolgevano traffici di ogni tipo. Ancora oggi, nelle viuzze laterali, si nasconde il malcostume, con offerte di ogni genere che portano a pensioncine ambigue, in realtà squallidi bordelli. Bevo un caffé, ammirando il via vai della piazzetta, poi scendo sino ad un suggestivo punto panoramico che domina il porto. Uno sguardo alla zona, per poi tornare in petit Socco attraverso la via dove è la Grand Mosquee. Percorro tutta la rue des Almohades, zeppa di negozietti, fino a Bab el Assa, la porta che da sulla kasbah . Qui è il museo Dar el Makhzen, purtroppo chiuso, perciò dopo aver ammirato da più punti il muro esterno, percorro la rue de l’Italie fino a Grand Socco e la sua graziosa fontana centrale. E’ ora di pranzo, perciò mi concedo una sosta in un localino che frigge pesce. Di nuovo al parcheggio e via verso sud. Noto un cartello che indica le Grotte d’Ercole e mi ci reco. Essendo in zona sarebbe stato un peccato non visitarle. Percorro un tratto di costa atlantica, bordata da ampie spiagge sabbiose, l’ideale per una sosta balneare, se non fosse pieno inverno. Ecco l’indicazione del sito. Scendo alle grotte. Secondo il mito, questa fu la dimora di Ercole quando, con la forza smisurata delle sue braccia, separò l’Europa dall’Africa. A partire dagli anni 20 furono utilizzate come macine in pietra, quindi dalle prostitute locali ed in seguito per le feste private della borghesia di Tangeri. Ora costituiscono un attrazione turistica che richiama ogni giorno centinaia di visitatori. In realtà tutto si esaurisce ammirando da una apertura l’Atlantico e le sue onde che si infrangono sulle rocce. Foto classica di rito e proseguo fino a Cap Spartel, l’estremità nord occidentale della costa. Ammiro pregevoli panorami, specie sulla sottostante plage Robinson, e quindi riprendo la strada fino ad Asilah. E’ qui infatti che avrei intenzione di fermarmi per la notte. La raggiungo in tempo utile e dopo aver trovato alloggio economico e confortevole, esco a piedi per visitare la caratteristica medina. Vi accedo, entrando in un quartiere signorile, grazie alla frequentazione di europei e marocchini benestanti. Le sue viuzze sembrano tirate a lucido e pullulano di negozi per turisti, ma non mancano vie dove è bello perdersi, ammirando i bellissimi scorci che sa regalare. Bei portoni, alcuni muri dipinti di blu e bianco. Girovagarvi pare essere all’interno d’una fiaba. L’atmosfera è piacevole, rilassante. Raggiungo i bastioni, da dove godo di una vista impareggiabile sulle mura che circondano la medina. La luce del tramonto conferisce alle onde sulle rocce e all’ocra dei bastioni, tonalità preziose, che trasmettono calma e serenità. Questa cittadina è davvero una piacevole scoperta. Mi perdo nei rincon, sbucando infine nella zona del porticciolo. Passeggio in riva al mare in attesa di cenare. Mi reco al restaurante Oceano Casa Pepe, gestito da spagnoli e dove gusto un buon piatto d’acciughe alla marina (fritte e poi al limone) con un bianco locale Sauvignon medaillon di 13°. Il secondo sarà un enorme granchio che mi impegnerà per quasi mezzora. A letto per riguadagnare le forze. Domattina partirò presto per l’ennesima volta, alle 6.00 e alle 7.00 sarò già a Larache. Vorrei raggiungere il paesino di Moulay Bousselham, un paradiso per gli ornitologi. Il sito è un piccolo villaggio di pescatori, situato nei pressi della laguna di Merdja Zerga (laguna blu) che si estende per 7000 ettari e richiama migliaia di uccelli migratori, tra cui un numero elevato di flamingos e anitre selvatiche. Parlo con un pescatore e raggiungiamo un accordo per l’affitto della sua barca, assoldando naturalmente barcaiolo e guida per capire un po’ del sito. Il programma è di circa un ora. Vorrei dedicarci mezza giornata, ma devo raggiungere Rabat, perciò non me lo posso permettere. Questo dicono che è il periodo migliore per visitarla, ma non mi pare che ci siano uccelli a profusione. Ogni tanto la guida mi mostra un uccello o un altro, tuttavia devo osservarlo col suo binocolo per vederlo bene. D’altronde qui non siamo alle Galapagos. Ammiro la gaviota, l’ostrero, il cherrano rojo, il sarabito che assomiglia all’ibis, ma con becco lungo e all’indietro. Su un isolotto ci sono numerosi cormorani con le ali dispiegate, per catturare i raggi solari. Durante il ritorno sono testimone delle straordinarie evoluzioni di un aquila pescatrice che più volte si tufferà nella laguna per tentare di catturare pesce. Sarebbe bello raggiungere l’altro lato della laguna, dove ci sono i fenicotteri, ma purtroppo non me lo posso permettere. Riparto dopo aver salutato il pescatore e imbocco l’autostrada che mi porta a Rabat in breve tempo. Fortunatamente trovo alloggio al Majestic, in Hassan II, una delle principali arterie della capitale. Salgo in camera. Il balcone da sulla medina. Fantastico! Scendo per visitarla, anche se non mi entusiasma molto. Ne ho viste di migliori durante questo viaggio. Al di fuori della medina, Rabat è una città cosmopolita come Casablanca. Dal 1956 è capitale del paese. Percorro tutta l’arteria principale, la rue Souka, che sbuca nei pressi della casbah. Qui è anche il restaurant Dinarjat dove riesco a prenotare per la mia ultima cena di stasera. Visito la kasbah des Oudaia, entrando dalla poderosa porta almohade di Bab Oudaia. Oggi il luogo è prevalentemente residenziale e le strette vie, fiancheggiate da belle case imbiancate a calce. Un tempo la kasbah era un’inespugnabile fortezza che dominava l’oceano. Percorro tutta la stradina principale fino a raggiungere la Plataforme du Semaphore, dove godo di una magnifica vista sull’estuario e Sale. Tornando, sosto ai famosi giardini andalusi, dove visito l’adiacente musee des Oudaia. Al suo interno è presente una pregevole collezione di gioielli marocchini provenienti dai corridoi della sua storia, fin dal neolitico. Altro taxi fin nei pressi del porto per ammirare la tour Hassan e il mausoleo di Mohammed V. Questo è un luogo magnifico, dove trascorrerò più di un ora. Prima passeggio sulla spianata dove è la torre, il monumento più celebre di Rabat. I lavori per costruire questa moschea iniziarono nel 1195, con la costruzione dello stupendo minareto che avrebbe dovuto raggiungere i 60 metri e divenire il più grande e alto del mondo islamico. Il sultano tuttavia morì prima ed il progetto non fu mai ultimato. Ora è alto 44 metri e l’enorme moschea tutta intorno fu poi distrutta dal terremoto del 1755. Oggi restano in piedi soltanto una selva di colonne in rovina, a testimonianza dell’ambizioso progetto di Al Mansour. Di fronte alla torre si erge l’elegante mausoleo in onore di Mohammed V, il padre della patria. L’entrata è presidiata da una guardia in divisa. Il padre Hassan II e il nonno dell’attuale re del Marocco riposano qui, circondati da elaborati mosaici e piastrelle zellij, che coprono completamente le pareti. Le tombe dei sovrani sono visibili da una galleria sulla quale si può ammirare anche la bellissima cupola con muqurnas (stalattiti di mogano dipinto). Termino la visita, uscendo nuovamente all’esterno ed osservando con meraviglia i bellissimi esterni del mausoleo e le fontane, abbellite anch’esse da ceramiche policrome e incorniciate da un arco a ferro di cavallo, in arenaria di Sale. Bene! Il tour è terminato. Sono riuscito a visitare tutto ciò che mi ero prefisso. Ora posso concedermi la visita ad una intrigante pasticceria proprio vicina al Majestic. Viaggiare così, in completa libertà è una gioia alla quale non saprei davvero più rinunciare. Tornato in camera provvedo a sistemare bene la valigia per domani. Un ora più tardi esco di nuovo per cenare al Dinarjat. Quale modo migliore per cesellare nella memoria questo fantastico viaggio? Nascosto fra le vie della medina, vengo fatto accomodare ad un tavolo con poltroncine comodissime. I piatti ricordano le piastrelle zellij e ci sono petali di rose sul tavolo che da su un patio, un classico riad marocchino. Colonne di marmo intorno ed una fontana frontale. Un suonatore di oud, intrattiene con armonici suoni tradizionali. Due camerieri si avvicinano con una bacinella ripiena d’acqua e acqua di rose per farmi sciacquare le mani. Alle pareti, portali in legno decorati ed intarsiati. Cenare qui sarà un esperienze che non dimenticherò mai. Come entrata, la Chorba, potage con legumi e pollo. E quindi il piatto più straordinario mai gustato durante il viaggio: un cous cous di carne d’agnello ai sette legumi. Il vino mi manderà in estasi. Sarà un rosso marocchino Medaillon cabernet Benslimane di 13.5°. Mi congedo da questo luogo incantevole dove per più di un ora sono stato riverito come un autentico Pashà. Un buon sonno anticipa l’ultimo giorno di viaggio. Alle 7.00 faccio colazione giù in pasticceria e poi via in autostrada fino all’aeroporto di Casablanca. Riconsegno l’auto, facendo notare la botta sul paraurti, per la quale pagherò 100 euro. Non ho voglia di far questioni e lo saluto. Partenza in orario. Scalo a Madrid e quindi a Linate. Potrei affermare che è stato il viaggio perfetto. Mi ha regalato tutto, ma proprio tutto ciò che m’aspettavo. Non è semplice viaggiare da soli. Devi stare attento a mille dettagli che portano stress, fatica, ma la soddisfazione che si ottiene è enorme In questo periodo il Marocco è più godibile che in altri momenti, perciò lo consiglio davvero a chi ha voglia di concedersi un bagno di cultura, emozioni e gastronomia.
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