1992 INDIA ( Varanasi ) - NEPAL ( Kathmandu )
Viaggio all’interno della cosmogonia Indù
E’ stato un viaggio straordinario, effettuato col duplice scopo di rivivere le intense emozioni già provate in questi luoghi e farle provare anche a mio moglie Gosia. Purtroppo, una decina di ore prima del nostro decollo nella capitale nepalese, un airbus A-300 della compagnia pachistana PIA si schianta su una delle colline nei pressi di Kathmandu dando origine a preoccupazione in Italia sulla nostra fine ma noi nulla sapevamo di ciò e solo al momento del ritorno siamo stati messi a conoscenza del fatto. Il nostro itinerario aereo ci ha portato prima a Kathmandu da dove un boeing della Indian airlines ci fa atterrare nella mitica Varanasi. Usciamo da questo facsimile di aeroporto e subito è una bolgia di gente vicino a noi che vuole portarci le valige e proporci un taxi che nella concitazione generale strappiamo a 50 delle 200 rupie originali. Si parte con un catorcio che si fermerà più volte, verso il nostro hotel: il Taj Ganges. Credo che l’autista possa tornarci utile domani per una visita al tempio d’oro di Vishwanath e così gli do appuntamento per domattina quando andremo ai ghats, sorta di scalinate degradanti sulla riva sinistra del Gange, fiume sacro per eccellenza dove di prima mattina, al sorgere del sole si svolgono i riti millenari delle abluzioni che lavano via tutti i peccati. L’umanità che li riempie è il quadro più colorato che esista al mondo. Ci sono sadhù, yogi, bramini e gente che prega, medita, fa riti e si lava, chi offre cibo agli Dei dei tanti templi presenti. Queste atmosfere le ho gia vissute ma questa volta sarà diverso perché cammineremo nei ghats, nei vicoli più nascosti scoprendo la vera Varanasi. L’albergo è un oasi nel deserto. E’ quasi imbarazzante entrare nel recinto del Taj Ganges dove tutto intorno c’è una povertà irrimediabile. L’indomani ci svegliamo prestissimo, alle 4.20 e dopo una frugale colazione in camera scendiamo all’appuntamento con l’autista venuto in compagnia di un suo amico. Raggiungiamo il Kedar ghat per la visita dei ghats dal fiume. Si scende un po’ più a sud per poi risalire fino a dopo il Manikarnika ghat, il burning ghat per eccellenza dove vengono effettuate le cremazioni. Li è vietatissimo fotografare e filmare. Sarà come assistere in primo piano alla vita quotidiana degli indiani standogli di fronte, riprendendoli come recitassero la parte in un film ma qui è tutto vero e loro sono così, con tutte le particolarità dei loro complessi riti. Chi alza l’acqua spostandola ritmicamente e lasciandola cadere più avanti, chi la tiene nelle mani come fosse acqua santa. Incredibile, se si pensa che il Gange è la quintessenza dell’inquinamento industriale e biologico ma loro sono così e c’è anche chi la beve. Ritornati al Kedar ghat riprendiamo il cammino fino al centro vecchio, il chowk, dagli infiniti vicoli. E’qui che si trova il più spettacolare tempio della città, il Vishwanath, tempio come il 99% degli altri dedicato al dio Shiva. Varanasi è la città dedicata a Shiva ed in questo tempio dalla cupola d’oro del peso di 800 chili c’è un altare d’argento con un lingam(simbolo di fertilità) in zona centrale. Ogni giorno si fanno cinque offerte al Dio. Speravo che mi potessero trovare il modo di entrarvi ma quando capisco che è impossibile li scarico dopo avere ammirato la cupola del medesimo dalla finestra di una casa di fronte. Originariamente il tempio era costruito più avanti ma ora al suo posto sorge la moschea di Aurangzeb che pensò bene di distruggere il luogo sacro dedicato a Shiva. I Moghul cancellarono molto qui a Varanasi, città citata persino nel Rig Veda 3.500 anni or sono. Allora era chiamata Kashi ed è stata sempre sede di grandi commerci e notevole cultura. In città c’è un campus universitario grandissimo e vengono da tutta l’India per studiarvi. C’è anche un ateneo per lo studio del sanscrito. Lasciate le guide ci inoltriamo nei ghats entrando in pieno medioevo. Si comincia col Jai Sing ghat dove è un palazzo osservatorio costruito dal rajà di Amber(Rajastan) con interessante esempi di misurazione dei momenti e delle ore delle giornata. Anche qui un ragazzino ci sta alle costole come capiterà in altre occasioni. Si propongono come accompagnatori, guide, possibili barcaioli, ribadendo di non volere soldi ma speranzosi poi di ottenere una mancia. Questo è un ghat minore non come il Desashwamed più avanti dove assistiamo davvero alla più grande rappresentazione in diretta dell’umanità indiana di Varanasi, la mistica. Torniamo sulla main road, la strada centrale, parallela ai ghats e da dove partono perciò tutte le viuzze che li raggiungono. Mentre seduti vicino ad un luridume ci scoliamo una bottiglia di acqua(Bisleri) veniamo avvicinati da un guidatore di rikshow. Lo assoldiamo, facendoci portare all’imbarcadero dove abbiamo idea di raggiungere la riva opposta dove è il forte di Ramnagar, il palazzo dell’ultimo Maharajà della città. Incomincia a pedalare e mi fa una pena infinita. E’ tanta la fatica che le sue scapole, durante il punto massimo dello sforzo si stringono avvicinandosi, quasi a toccarsi. In alcuni casi quando lo sforzo a causa della strada malconcia sarebbe esagerata si erge poderoso su di un solo pedale con tutto il peso del corpo. Purtroppo questa è una scena comune in questo paese. Il traffico è caotico fra inquinamento di tutti i generi. Lungo la strada per l’imbarco sostiamo al tempio di Durga, chiamato anche tempio delle scimmie per la presenza di decine di loro fra la moltitudine di fedeli. L’ingresso è per i soli indù ma riusciamo a convincere due poliziotti a farci entrare. Naturalmente via le scarpe!. Dentro c’è una fila per la donne ed una per gli uomini che aspettano il loro turno per offrire fiori, cibo, noci di cocco alla Dea. Nel tempio ci sono dei sacerdoti che prendono le offerte e le gettano all’interno del recinto. Nel caso delle noci di cocco vengono spaccate sulle pareti del tempio facendone uscire il liquido e poi le riconsegnano al fedele. Io mi infiltro con la telecamera, filmando questo rito che ha dell’incredibile nel 2000 ma forse esagero perché i poliziotti mi chiedono di allontanarmi dato che potrei ferire col mio atteggiamento qualche ortodosso indù. Fuori dal tempio alcuni mendicanti lebbrosi che chiedono elemosina per poter semplicemente continuare a vivere. Centinaia di esistenze che si trascinano, talvolta con tavole di legno e rotelle sotto per muoverle. Uno scempio causato dalla lebbra che talvolta logora alcuni corpi fino a deformarli impietosamente. Questa è Varanasi!. Questa è l’India. Arriviamo all’imbarcadero e saliamo su una chiatta che ci porta sull’altra riva del grande fiume, quella impura. Durante il breve tragitto, immersi nell’umanità dei pendolari si vede il forte, uno dei tanti monumenti che purtroppo non ricevono le dovute cure. L’Unesco fa quello che può ma in India il patrimonio artistico è infinito con tutte le dinastie che si sono succedute nel tempo. In questo caso, il Ramnagar fort è ora un museo che raccoglie oggetti di proprietà del maharaja, una ricchissima collezione di armi da fuoco e spade, recenti ed antiche. Giù dabbasso si ammira una vecchia automobile che serviva per gli spostamenti del rajà, baldacchini per elefanti uno dei quali intarsiato in avorio ed un altro in argento. L’oggetto più particolare è senza dubbio un fantastico orologio solare, lunare ed addirittura lo zodiaco. La visita è stata interessante ma ora torniamo con lo zatterone all’altra riva dove sono i ghats. Si ritorna col rikshow nel centro città pranzando in un localino vegetariano dove il kashmiri pulao(riso e verdure) ci farà tornare un po’ di forze. Entriamo quindi nella parte musulmana di Varanasi dove la convivenza fra le due religioni non è priva di scontri, attriti che comunque ci sono da secoli e solo in parte attenuati dalla creazione dello stato musulmano del Pakistan. A piedi si percorrono centinaia di metri di vicoli che nemmeno la nostra guida conosce infatti chiede continuamente informazioni. Queste viuzze, di 2 - 3 metri di larghezza hanno case ai lati dove sembra di soffocare con una puzza di sporco e di deiezioni che fa venire la nausea. Vacche circolano liberamente e contribuiscono ad insozzare il quadro giù lurido. La luce filtra poco qui e crea talvolta un atmosfera grigia, cupa, quasi sinistra. Ogni tanto un tempietto dove gli indù cantano nenie ma alla fine ecco la famosa moschea Alamgir che però risulta essere chiusa al pubblico. Dopo una breve ricerca la nostra guida trova il custode che ci apre il cancello facendocela visitare. Dalla sua cima si ha l’opportunità di ammirare la migliore vista di Varanasi. Qui siamo di fronte al Panchganga ghat e si vedono in lontananza i fumi del Manikarnika. Attraverso i medesimi vicoli torniamo alla main road e ci facciamo portare nei pressi del Golden temple da dove, dopo esserci inoltrati nel chowk, raggiungiamo il burning ghat per eccellenza. C’è una puzza che da la nausea. Incontriamo elementi di tutti i tipi e fra questi anche due sadhu che meditano dentro delle gabbie. In prossimità del Manikarnika ci sono cataste di legna che servono per le cremazioni e l’atmosfera è a dir poco tetra. La vista migliore si ha dalla cima di un edificio dove vivono donne in attesa della morte per essere cremate proprio qui giù. Il clima è spettrale. Gli addetti alla cremazione di volta in volta sono costretti a riportare all’interno della brace pezzi di arti che non sono ancora bruciati bene. Il modo con cui espletano questa operazione, unito alla consapevolezza che sono resti umani rende la scena rivoltante. Vacche sono in bagno alla base del ghat in mezzo ad una sporcizia inaudita. Torniamo alla main road e quindi in albergo. Dopo un po’ di riposo si scende al ristorante dell’albergo dove consumiamo una cena a base di crema di asparagi e tandoori murg (mezzo pollo marinato in yogurt e spezie cotto in un forno di argilla) oltre ad un murga tikka safron (tenero pollo in pezzi inzuppato in una mistura di yogurt zafferano e spezie). Il tutto con una birra Kalhyani black label pilsner. Ci rechiamo quindi in giardino dove si sta svolgendo un party di un matrimonio e poi ci ritiriamo nella nostra camera attendendo la giornata di domani che ci porterà a visitare con un rikshow a motore la vicina cittadina di Sarnath, famosa perché qui il Buddha fece il suo primo sermone e trovò i primi discepoli. Vi si trova un bel tempio con la sua vita affrescata sui muri. Fuori, verso il parco si ammira un bello stupa di epoca Gupta costruito su di un altro precedente si pensa addirittura da Ashoka. Più avanti l’Ashoka pillar con scritti gli editti del grande imperatore Maurya. Ritorniamo alla città santa a Shiva e ricominciamo dal Desashwamed e le sue atmosfere. Trascorriamo due ore fra i ghats vivendo sensazioni uniche, indescrivibili in un atmosfera cruda nella quale abbiamo potuto respirare la quotidianità del popolo indi dopodiché si riaffitta una barca con barcaiolo e via per ammirare il tutto dal lato fiume. Raggiungeremo il Pachganga, sotto la moschea Alamgir e poi torneremo indietro ammirando tutti ghats intermedi. In uno di questi si stanno bagnando una decina di bufali insieme al loro padrone in un acqua tanto putrida da repellere solo a vederla. Si passa il Sandia ma la mia mente è al Manikarnika anche se sono cosciente del fatto che non si può riprenderlo. Chiedo comunque al rematore e lui risponde che bisogna recarsi in polizia per ottenere uno speciale permesso ma io non ho voglia di recarmici così opto per insistere con lui al fine che si attivi per trovarmi una soluzione. Ci avviciniamo alla riva del ghat dove parla concitato con un tizio lugubre come il ghat in cui siamo il quale sembra accettare le mie offerte (20 rupie per foto). Estraggo la camera come avvolti in un ambiente allucinante e vicino a noi sono i roghi delle pire che mandano crepitio sinistro. Il caldo, il fumo asfissia, insomma è un inferno nel quale mi sento tutti gli sguardi addosso. Gosia è dietro di me e poi mi dirà che la spingevano talvolta, guardandola male. Tutto si svolge nell’arco di mezzo minuto dopo l’estrazione della fotocamera. Dalle prime pire arriva un uomo arrabbiato che continua ad urlare no, no avvicinandosi a me. Io gli dico che sono d’accordo con uno ma quando cerco di trovarlo, il personaggio con il quale ho parlato è sparito. La situazione è critica ed il rematore l’ha capita, ci chiama. Saliamo sulla barca come se niente fosse e così fa anche lui remando piano piano staccandosi dalla riva mentre sul ghat c’è molto trambusto e si sta organizzando il nostro inseguimento. Ora il rematore voga a più non posso scappando verso l’altra riva del Gange, quella impura. Intanto dal ghat è partita una barca con tre persone a bordo. Noi siamo arrivato quasi all’altra riva dove l’atmosfera viene resa ancora più drammatica da avvoltoi che beccano carcasse vicino alla sponda. A questo punto il rematore si rende conto che forse è possibile ritornare sulla riva sinistra e dopo aver portato gli inseguitori nei pressi di quella destra devia improvvisamente verso il nostro punto d’imbarco. Nel caso ci avessero presi l’avrebbero arrestato e a noi avrebbero forse tolto gli apparecchi fotografici. Fortunatamente si riesce ad attraccare dieci minuti dopo. Il nostro barcaiolo come terrorizzato ha remato come un matto. Scappiamo quindi di gran carriera lungo i vicoli raggiungendo la main road. Che esperienza!. Si prende subito un rikshow e si ritorna in albergo. La cena la consumeremo sempre al solito Mandap con mulligatowny (puree di lenticchie con pepe e curry e poi una specialità di Varanasi, l’Aloo dum che sono delle sorte di crocchette di patate con una salsa piccante. Sveglia ancora presto alle 5.15 per recarci ancora ad ammirare i ghats all’alba. La città sta ancora sonnecchiando e lungo la strada verso le scalinate ecco ancora una volta aprirsi un mondo indiano fatto di case fatiscenti e letti improvvisati ai lati della strada fra immondizie e luridume. Ci facciamo portare fino al lontano Shivala ghat dedicato alla Dea del vaiolo. Raggiungiamo il ghat con fatica dato che l’accesso è nascosto ma grazie a due persone arriviamo ad una sorta di belvedere in posizione sopraelevata. Affittiamo una barca con la quale scivoliamo fino nei pressi del Manikarnika ma senza toccarlo per evitare di farci riconoscere e sbarcando successivamente nei pressi del Desashwamed. Bramini in preghiera sotto gli ombrelloni, maghi che predicano il futuro leggendo le mani. Un umanità diversissima da noi ci avvolge e ci permea completamente regalandoci un esperienza entusiasmante. Ogni tanto qualche tempio più o meno grande con decine di fedeli che offrono agli Dei cibi e fiori comprati all’esterno. Proseguiamo fino al Panda ghat dove noleggiamo ancora una barca dato che ci costa solo 250 lire(dopo contrattazione ). Ci sono lavandaie che lavano panni degli ospiti degli alberghetti sui ghats. Sostiamo in un burning ghat minore. Il legno per le cremazioni proviene molto spesso da Gorakpur via camion e poi in barcone fino ai ghats dove avvengono le cremazioni. Dopo pranzo è in programma il nostro volo per Kathmandu perciò torniamo in albergo a sistemare tutte le nostre cose. L’esperienza indiana è terminata fra esperienze a profusione che difficilmente dimenticheremo ma ora siamo già atterrati nella capitale nepalese e fuori dall’aeroporto ecco un addetto dello Sherpa hotel che ci sta aspettando per portarci li. Durante il tragitto siamo piacevolmente stupiti nel sapere che in Nepal, specialmente in tutta la valle di Kathmandu in questi giorni è tempo di festival, il Dasain festival, che ci regalerà alcune delle esperienze più entusiasmanti mai avute in giro per il mondo. Raggiungiamo in taxi il Sunkosi restaurant che tanto era affascinate due anni fa ai tempi del raid Kathmandu-New Delhi con il mio amico Gianni di Roma. Ora però è diventato un locale per turisti e si gustano specialità tibetane con menu unico. Albergo e riposo dato che domani sarà una giornata molto faticosa e di grande camminate. Sveglia presto e via con un taxi verso la periferia della capitale con direzione il tempio di Dakshinkali. La campagna è in parte coltivata con terrazzamenti. Dopo 17 chilometri di strada tortuosa arriviamo ad un piazzale dove si parcheggia l’auto per poi seguire la fila di gente che sta salendo verso l’ingresso del tempio dedicato alla dea Kali, la controparte terrifica di Shiva. C’è una fila spaventosa di persone che aspetta di offrire in sacrificio il suo animale alla Dea. Nei giorni del Dasain festival qui si sacrificano circa 10.000 animali tra polli, anatre, oche, capre e bufali. Si immolano per offrirli alla Dea ed inoltre per farli uscire dal brutto stato della loro attuale reincarnazione. Ci districhiamo tra la folla ma la nostra attenzione viene attirata da un numero notevole di animali morti e senza testa vicino a delle grosse pentole che creano un fumo alquanto sinistro. Dopo il sacrificio, che consiste nel tagliare la testa all’animale, il medesimo viene leggermente bollito per consentire l’operazione di spiumaggio. Proseguiamo, notando qua e la macchie di sangue ed ogni tanto qualcuno che porta via in mano una testa di animale. Eccoci finalmente al tempio dove all’interno vi sono numerose persone addette ai sacrifici. Gli officianti, quando arriva il loro turno consegnano l’animale ad una delle persone. Questa lo prende e con un grosso coltello gli taglia piano piano la testa in maniera impressionante con schizzi di sangue che si perdono in tutte le direzioni. E’ impossibile descrivere le sensazioni che si provano in questo luogo allucinante ed allucinato. Li dentro loro camminano letteralmente nel sangue ed a piedi nudi. Trascorriamo un oretta in questa bolgia per poi tornare a Kathmandu e dopo aver pranzato in albergo si riparte con un rikshow verso Basantapur dove un tempo venivano tenuti gli elefanti reali. Dopo il terremoto del 1934 vennero costruiti nuovi edifici ed ora nella piazza c’è un mercato permanente di oggetti e di antiquariato. Più avanti visitiamo il palazzo della Kumarì. Scelta da bambina tra migliaia e rispondente a determinate caratteristiche la Kumarì vive nel suo palazzo senza mai uscirvi fino all’adolescenza tranne che in occasione di festività. Il suo palazzo è un esempio bellissimo di arte newari, famosi intagliatori in legno che crearono dei lavori eccezionali come finestre, balconi che incastonati come gioielli in costruzioni di mattoni sono ancora viva espressione della più bella arte nepalese. Ora molti palazzi risentono del logorio del tempo e lavori di restauro devono essere fatti come su alcune torri dell’Hanumam Dhoka, il vecchio palazzo reale ma è molto difficile trovare artigiani con tale destrezza nelle arti manuali. Usciti dal kumari bahal siamo di fronte alla Durbar square, la più grande concentrazione di templi della capitale. Quasi al centro si erge il bel tempio di Narayan che è Vishnu rappresentato come creatore della vita. Sulla nostra sinistra è il famoso Kastamandap, in origine luogo di celebrazione e di cerimonie e poi il tempio dedicato a Goraknath, uno yogi del XI secolo che fondò un culto shivaita. Di fronte al tempio di Narayan ecco la casa di Shiva e Parvati dopodiché si fa accesso allo spiazzo dal quale si entra nell’Hanumam Dhoka ma oggi ed in questi giorni sarà chiuso per via delle festività dato che si svolgono sacrifici all’interno in onore di Durga. Non bisogna dimenticare che siamo nel mezzo delle celebrazioni del Durga Puja. Ci sono sfilate di militari Gurka e numerose auto ufficiali di esponenti pubblici nonché politici. Proseguiamo la visita continuando con il tempio di Jagannath di fronte alla statua di Hanumam. Dietro è una bella statua di Bhairav, versione terrifica di Shiva rappresentato mentre calpesta un uomo. A sinistra un tempio dedicato a Khrishna. Ritorniamo verso il palazzo reale dove vicino è il palazzo di Taleju Bawani, Dea tutelare del Nepal. L’entrata è chiusa ma ugualmente bella la vista che se ne gode dalla piazza. Terminata la scoperta della Durbar square ci addentriamo ora dietro il Kastamandap nelle viuzze affascinanti che nascondono sempre qualche sorpresa agli occhi del visitatore. Una volta un tempio, un altra un balcone intarsiato, una finestra oppure oltrepassato un piccolo arco d’entrata un cortile collocato quasi come fuori dal tempo dove bambini giocano sereni in ambiente da puro medioevo. Bastano dieci metri per cambiare atmosfere. Kathamndu è unica al mondo e con le altre due città gemelle di Patan e Baktapur costituisce un museo a cielo aperto che non ha paragoni. Torniamo al Taleju Bawani da dove partiamo per il classico percorse lungo il Makhan tole. Ai lati innumerevoli negozi di prodotti artigianali tra cui manufatti in lana di yak e le famose thangka che sono dei dipinti a sfondo religioso su pergamena. C’è da perdere la testa ed arriviamo all’ Indrachowk dalla quale partono numerose vie. Proseguendo dritto raggiungiamo il famoso tempio di Machendranath bianco. E’ un vero capolavoro con tetti di rame e con lavori in rame sbalzato di rara bellezza. Fuori c’è anche un bel tempio dedicato ad Annapurna, la Dea dell’abbondanza. Siamo letteralmente bombardati da stupendi palazzi ed edifici che da soli potrebbero riempire pagine di annotazioni. Siamo vivendo momenti unici!. Sarà stato un autentico choc per i primi esploratori inglesi che hanno avuto occasione di ammirare questa profusione inimmaginabile di palazzi artistici. La nostra visita termina con il Dio del mal di denti in una via dove si trovano vari artigiani dentisti. Con venti rupie si ritorna allo Sherpa hotel dove ci concediamo il meritato riposo in attesa della giornata di domani che ci regalerà altrettante emozioni. Sempre col solito rickshow superiamo il famoso Bagmati river con destinazione Patan dove scendiamo alla famosa Durbar square. Iniziamo la visita con il Sundari chowk all’interno del palazzo reale di Patan. Questo cortile, come del resto quello della Kumari bahal è davvero un esempio esaltante di arte newari. Passiamo poi al Mul chowk e dalla statua di Garuda, la mitica aquila, veicolo di Vishnu. Dietro, lo stupendo tempio in stile shikara di Krishna, tutto in pietra. Bello è anche il tempio dedicato a Bhimsen, dio dei commercianti.. Un bambino riesce a convincerci a portarci al tempio d’oro con annesso il tempio dei topi. Due leoni sorvegliano l’entrata. Qui il culto induista si mescola con quello buddista creando confusione infatti mentre di fronte all’entrata c’è un tempio chiaramente induista dove si venerano i topi che vengono nutriti e coccolati, al piano di sopra è un monastero di buddisti lamaisti. Il buddismo lamaista è molto presente in Patan dove c’è il più grande campo profughi tibetano. Al monastero assistiamo alla preghiera di un fedele che segue un rito particolarmente faticoso durante il quale si china, si prostra poi sdraiandosi completamente a pancia a terra. Questo per tante volte quanto lo sono i chicchi di riso che si è messa a fianco e che sposta uno ad uno ogni qualvolta completa il ciclo della preghiera. Torniamo a Durbar square proseguendo per il tempio di Kumbeshwar, uno dei due templi a 5 tetti del Nepal. L’altro è a Baktapur. La giornata prosegue felicemente ed ora ci facciamo portare al fantastico tempio di Swajambunath. Il rickshow ci lascia alla base della lunghissima scalinata dove implacabili ecco i primi mendicanti. I gradini sono 300 e tutto intorno saltellano simpatiche scimmiette. In cima è un bello stupa con monastero adiacente. Sembra che lo stupa sia antichissimo e risalga a 2.500 anni fa. Tutti gli stupa rispondono a dei requisiti ben precisi. La collinetta semisferica, bianca ed abbagliante rappresenta i quattro elementi (acqua, terra, aria e fuoco), i 13 anelli dorati sono i 13 anelli della conoscenza e rappresentano la scala verso il nirvana simboleggiato dal parasole in sommità. Si torna ora in albergo e dopo una salutare doccia, via al migliore ristorante della città: il Gar and Kebab che dicono abbia la migliore cucina indiana dopo quella di New Delhi. Durante la giornata di domani completeremo degnamente il nostro soggiorno in Nepal. Partiamo presto per l’Hanumam Dhoka credendo di poter assistere ai sacrifici che si svolgevano al suo interno ma niente da fare, la cerimonia è per soli indù. Nella piazza c’è una gran confusione e una atmosfera di grande religiosità con file di fedeli in attesa di consegnare le loro offerte a dei sacerdoti all’interno di alcuni templi come in quello qui vicino dedicato a Ganesh ma poi, grande sorpresa a Basantapur con in diretta il sacrificio di un giovane bufalo tra fanfare e cerimonie militari. Dopo il taglio della testa il suo corpo viene trascinato circolarmente e poi lasciato a lato dello spiazzo cerimoniale. Scena davvero raccapriccianti con il corpo della povera bestia che si muove ancora pur decapitata. Torniamo in albergo per la colazione e poi, dopo che la pioggia ha tentato di incrinare la giornata si riparte per lo stupa di Bodnath, il più alto del Nepal. Saliamo fin quasi alla cima, dalla quale si gode un bel paesaggio. La costruzione è circondata da una folla di case e negozietti caratteristici che vendono ruote della preghiera, maschere di legno raffiguranti le varie divinità, thangka e altro. Vicino c’è un monastero di monaci buddisti lamaisti. La successiva visita sarà a Pashupatinath. Visitiamo bene la zona iniziando dagli undici chorten di fronte al tempi di Pashupati. Questo un luogo sacro a Shiva e decine di Sadhu e yogi meditano sulle rive del Bagmati. Un bellissimo tempio dedicato a Pashupati(Shiva nella veste di pastore di animali) si intravede in cima ad una scalinata. E’ vietata la visita ai non indù e non si può nemmeno avvicinarcisi. C’è una sorta di cultore della fede vicino ad un lingam che distribuisce acqua santa del fiume sacro ai fedeli i quali con un gesto leggiadro se la spargono sopra la testa ed intorno a se. Notiamo del movimento vicino al ponte. Ci sono i preparativi per una cremazione. A differenza dell’India qui si può assistervi e filmare e lo faremo dall’inizio alla fine. Prima portano il morto sulla barella di legno che appoggiano inizialmente in riva al fiume in modo che i suoi piedi si bagnino nell’acqua. Viene quindi portato vicino alla pira con la legna giù predisposta per il rogo. Si accende dell’incenso intorno al morto e dopo 15 minuti viene spogliato dei suoi abiti con decoro rimanendo avvolto solo in un sudario di seta. Ora si mette il cadavere sulla pira e si mettono dei pezzettini di legno, delle pietruzze che gli addetti alla cremazione estraggono da una scatoletta. Si cosparge il corpo dell’uomo con rametti e apparentemente con delle foglie sminuzzate. Poi ancora una specie di burro che si mette ai lati della pira. Si accendono ora dei piccoli legnetti che vengono posti sotto di essa. Incomincia a vedersi un po’ di fumo e dopo qualche minuto le prime fiamme che iniziano a svolgere il loro lavoro. Il figlio del morto assiste piangendo alla cerimonia. Decidiamo di lasciare il luogo sacro e di raggiungere l’altra località celeberrima della valle di Kathmandu, la città di Baktapur. Anche qui la bella Durbar square, ricca di templi e il palazzo reale con un bellissimo cancello d’oro con motivi in rame sbalzato che porta ai cortili interni però vietati ai non indù. Subito fuori c’è una statua di re Malla, la campana di Taleju, il tempio in stile shikara di Khrishna e quello di Pashupati. Ormai siamo stanchi e ci rechiamo perciò subito dopo alla piazza dopo sorge il bel tempio di Nyatapola il più alto del Nepal. Ritorniamo in albergo a riposare un po’. Il nostro viaggio è terminato e domani ripartiremo verso l’Italia dopo una scalo a Karachi in Pakistan e finalmente i suoceri e mio fratello potranno verificare con i loro occhi la veridicità delle affermazioni degli addetti della Pia che non trovavano i nostri nomi nell’elenco delle vittime del disastro aereo di otto giorni fa.
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