1991 PAKISTAN

 Shangri - la

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Islamabad - Moschea Shah Faisal

E’ stato un grande viaggio, uno di quelli che ti regalano esperienze tali da ingigantire la tua bacheca personale di cultura e conoscenza. Il Pakistan è un paese completo, con le sue alte montagne del nord, le pianure, i deserti ed infine un gran numero di testimonianze storiche che lo collocano certamente tra le più interessanti nazioni del mondo. Tutto comincia il 31 Gennaio quando mi trovo alla Stazione Centrale di Milano con il mio amico Gianni di Roma. Gianni è ” er modifica “ e con lui ho già portato a termine due fantastiche avventure in Brasile e in India. Si decolla da Linate alla volta di Amsterdam. All’arrivo a Schipol decidiamo di concederci una capatina alla city dato che abbiamo del margine di tempo. Scendiamo alla stazione di Amsterdam ed è subito una infinità di canali. Qui è la parte centrale della città, molto stilizzata, con le sue case caratteristiche adiacenti ai corsi d’acqua artificiali. Dopo un breve giro turistico di un ora torniamo in aeroporto dove alle 18.00 si parte per l’Asia. Atterriamo ad Islamabad alle 6.30 e con un taxi ci facciamo portare al rent a car dove abbiamo prenotato un auto dall’Italia. Il tempo è piovoso; davvero un pessimo inizio. Dato che gli uffici sono chiusi decidiamo di recarci nella vicina Rawalpindi dove però scende acqua a catinelle e le strade si sono trasformate in fiumi. La vita nei negozi però comincia ugualmente ad aprirsi ai nostri curiosi occhi di viaggiatori. I rickshow si fanno strada nelle enorme pozzanghere ed è subito una botta di realtà niente male. Purtroppo al nostro ritorno abbiamo delle sorprese all’Avis e per risolvere in qualche modo la faccenda siamo costretti a noleggiare un auto con autista. Poco male, riposeremo di più!. Dopo mezzora siamo in partenza con Iqbal, la nostra guida-driver, un trentacinquenne riservato ma simpatico. I paesi in scritta Hurdu ci avrebbero sicuramente dato dei problemi senza di lui. Prima di uscire da Islamabad, in direzione di Besham sulla Karakorum highway (KKH), decidiamo di visitare l’unico polo di interesse di questa città costruita una ventina di anni fa dal nulla e cioè l’enorme moschea Shah Faisal che prende il nome dal re Faisal,reggente in Arabia Saudita che ha finanziato la sua costruzione. Si dice sia la più grande del mondo potendo contenere fino a 80.000 fedeli. I suoi quattro minareti misurano 35 metri e all’interno è presente la tomba del generale Zia che governava prima della Benazir Bhutto. Universalmente considerato un tiranno noteremo invece durante il viaggio molti poster con la sua immagine perché sembra che con lui c’era un impronta più islamica, religiosa che ora si è persa. La Bhutto cerca di democratizzare il paese con visioni più liberali anche nei confronti del mondo femminile, chiuso da secoli nel ghetto della tradizione. Si riparte attraversando le prime campagne e villaggi caratteristici. Già si nota la differente condizione igienica rispetto alla vicina India. Qui non c’è la sporcizia, il luridume e la trasandatezza che si vede nel paese confinante. Stiamo percorrendo la zona che circa 2.000 anni or sono vide il fiorire della arte Gandhara. Quello dei Kushana, che ebbero nella città di Taxila il loro centro più florido sono ricordati da queste parte come un grande popolo che per 500 anni diede grandezza ad un impero che andava dall’odierna Peshawar fino ai confini con l’India. I Kushana erano buddisti come i Maurya di Ashoka loro predecessori nel culto al famoso Gautama. A Taxila c’è un importantissimo  museo noto in tutto il paese che racchiude pezzi antichissimi di questa civiltà. Noi visiteremo un vecchio monastero buddista  o meglio le sue rovine e con l’aiuto di una guida locale conosceremo un po’ la storia di questo popolo. Molti stupa, piccoli e grandi resistono da secoli con le loro raffigurazioni del Buddha in bassorilievo. Dell’arte Gandhara, scritte in karoshiti da questo popolo non si sapeva quasi nulla fino a 100 anni fa quando un inglese fece le prime scoperte. Da allora fu un susseguirsi incalzante di ritrovamenti che aprì al mondo le porte della conoscenza di questa zona. Una storia che torna indietro al 2.000 a.c, quando contemporanei ai Babilonesi e agli egiziani la cultura di Mohenio Daro ed Harappa, lungo la valle dell’Indo, diede alla zona una civiltà floridissima. Terminata la visita si prosegue fino a Abbottabad e sulla strada un masso apparentemente anonimo. Su di esso Ashoka fece scolpire 2.300 anni fa i suoi famosi editti, specie di legge come anche fece Hammurabi molti anni prima di lui. Di fronte si possono vedere i villaggi dei profughi afgani. Sono essenziali, crudi, con capanne in fango e mattoni impossibili da visitare. Il carattere dei Mujaeddin è duro ed indipendente e non si assoggettano a leggi o regole vivendo a modo loro con loro norme e loro giustizia privata. Sconsigliano vivamente di interrompere la loro privacy. Essendo partiti tardi ci troviamo ancora in auto al calar del sole. La strada in alcuni tratti è davvero brutta mentre si sente già il fragore dell’Indio sotto di noi. Passato un ponte sul fiume ecco il motel del governo (PTDC). Ci danno una buona camera dove sistemiamo le nostre cose e poi andiamo a cena nel locale ristorante gustando pollo e patatine e dello splendido pane, il chapati, cotto nel forno ed il nan preparato invece in una cavità sotterranea. Siamo tutte e due molto stanchi ma nonostante ciò rimaniamo nel giardino di fronte all’Indo per un paio d’ore a chiacchierare. L’indomani, dopo una buona colazione partiamo, entrando poco dopo nella regione del Kohistan, terra di uomini duri, scontrosi simili per certi versi ai curdi. Fino a pochi anni fa qui la gente viveva isolata. E’ da poco tempo che questa zona è stata inglobata di fatto nel Pakistan. Ecco perché Iqbal ci consiglia di non scendere troppo dall’auto e di fare poche foto. Alcuni addirittura girano con il fucile. I Kohistani appartengono a una delle più grandi etnie esistenti al mondo, quella dei Patan che occupano la parte orientale dell’Afghanistan. Un buon Patan non andrebbe mai in giro senza il suo fucile in spalla. Entriamo nel bel paesino di Dubair bagnato da un affluente dell’Indo. C’ è anche un negozietto che vende armi. L’atmosfera che si respira non è di completa amicizia perciò ne usciamo subito. Fa molto caldo ma dietro una curva c’è una piccola cascata. E’ il colpo di fulmine!. Via i vestiti e sotto a fare la doccia più bella di tutta la vita. Più avanti si sosta vicino a Chilas per ammirare alcuni graffiti sicuramente dell’epoca kushana. La catena del Karakorum è gia iniziata da un pezzo e dopo una svolta ecco il Nanga Parbat, l’ottava montagna del mondo con i suoi 8.216 metri. Si trova all’estremità occidentale della catena himalayana proprio dove si incontra col Karakorum. Qualche decina di anni fa il Nanga Parbat creò una frana colossale che bloccò l’Indo. Decine di paesi furono sommersi a monte e quando alcuni anni dopo rovinò un'altra frana, una valanga d’acqua e fango si riversò a valle decimando paesi, abitanti in un disastro che rimarrà nella storia del Pakistan. In questo punto poi, milioni di anni fa il subcontinente indiano, in avvicinamento al continente asiatico si scontrò con esso creando le più alte montagne della Terra. Ogni tanto torrenti limpidi e azzurri provenienti dai ghiacciai dell’Hindukush si gettano nell’Indo carichi di limo creando un magnifico effetto visivo. Ecco in lontananza il Rakaposhi ( 7.788 m.) ventiseiesima montagna al mondo. Lo ammireremo molto meglio più avanti, dopo Gilgit. Questo luogo era un importantissimo centro sulla celeberrima via della seta e ora c’è solo un grande bazar dove si incontrano svariati popoli per vendere le loro merci. Un tempo, circa 1.500 - 2.000 anni fa era un importante tappa sulla silk road che proveniva da Esfahan in Iran. Da qui la strada proseguiva fino al Kunjerab pass per entrare in Cina fino a Kashi, altro celebre punto di riferimento dove la via della seta poi si biforcava.  Mentre a sud costeggiava il Karakorum, a nord stava sopra il deserto del Taklimakan terminando a Xian, sempre in Cina.  Si comincia a riconoscere le etnie dai loro copricapo. Le donne usano lo chador o la burka, tutte incappucciate. Gilgit è ubicato in una bella conca. Interessante è anche il lungo ponte sospeso sull’Indo e subito oltrepassato Gilgit, dopo qualche chilometro ecco finalmente la via della seta. La si può intravedere nell’altro versante della montagna e talvolta è cancellata dalle frane. E’ emozionante sapere che tanti anni fa transitavano le merci che raggiungevano l’impero cinese e viceversa fino in Iran, Siria (Palmyra), Giordania (Petra) fino a Roma. Più avanti c’è il view point sul Rakaposhi, forse la più bella montagna ammirata durante il viaggio, con fronti di ghiaccio alti come case in un biancore incredibile. Ogni tanto sulla strada ci sono scavatrici al lavoro per liberarla dalle frane che quotidianamente coprono qualche tratto. Dopo l’accordo del 1966 tra Pakistan e Cina ci vollero dodici lunghi anni per costruirla e fu aperta solo nel 1986. Decine di morti sono ricordati qua e la da lapidi. Ecco di fronte a noi un ‘altra stupenda montagna: l’Hunza (7.785 m.) che domina Karimabad, il paesino dove stanotte dormiremo. Dalla strada Iqbal non può arrivarci essendo un percorso solo per jeep perciò ci affidiamo ad un'altra guida che con il suo pik up ci porta all’Hiltop  del paese. Con lui poi andiamo a visitare il forte di Altit, costruito nel 909 e completamente a strapiombo sul fiume Hunza, centinaia di metri sotto. Da qui si ammirano le abitazioni hunzakut, popolo mitico della mitica terra dell’Hunza denominata Shangri La, una sorta di terra della felicità dove il clima, il paesaggio, l’assoluta mancanza di stress e la particolare dieta a base di frutta (prevalentemente albicocche) concede a questa popolazione di vivere fino a 100 anni. Loro hanno una dieta davvero particolare, a base di albicocche che consumano al naturale oppure tramutate in farina dopo averle fatte seccare al sole sopra i loro tetti piatti. Dai loro noccioli ricavano anche l’olio. La nostra guida ci propone ora di salire con la jeep fino ad un view point in cima ad una montagna  dove si possono ammirare tutti i più alti picchi della zona. Sarà un esperienza da brivido lungo una pista stretta e piena di sassi dove il pick up arrancherà come un mulo affaticato. Dopo un ora eccoci a quota 4.000 metri(cosi dice lui ma non ci pare vero). Il panorama è veramente bello. Dei bimbi ci accompagneranno al view point e durante il percorso ci offriranno delle saporitissime albicocche. Arrivati, tutto intorno a noi è un anfiteatro di montagne di 6 - 7.000 metri. Dapprima il Nagar da sinistra, il Rakaposhi di fronte, e poi l’Hunza alle nostre spalle e tante altre dai nomi a noi sconosciuti. Trascorriamo un oretta per poi ridiscendere con la nostra guida, pazza come un cavallo fra scene di vita quotidiana. Ci fermiamo in paese ad un negozio d’artigianato dove acquisto una spanda hunzakut stupenda. Torniamo all’Hiltop, il migliori dei pochi posti pubblici di Karimabad. Qui abbiamo la fortuna di gustare una autentica chicca della valle Hunza e cioè il vino. Non si capisce bene come riesca a diventare vino parte dell’uva che cresce da queste parte dato che tranne nella valle del Chitral dove sono pagani, in tutto il Pakistan vige una rigorosa legge islamica, tuttavia qui c’è. Poche bottiglie d’accordo ma tre sono presenti nel loro frigo e siamo felici di bagnare la nostra cena con questa autentica originalità. E’ solo una specie di vino novello, quasi mosto ma il fascino lo tramuta almeno in uno ottimo Chianti. Solita chiacchierata giù in giardino, con la luna che sagoma le cime innevate e poi a dormire  per essere pronti domani all’appuntamento con Iqbal alle 6.40 col quale partiamo poi per la tappa più aspra e spettacolare, quella che ci porterà al celeberrimo Kunjerab Pass a 4.700 metri. La strada è sempre più brulla  e si alza con il contorno di paesaggi affascinanti. Dopo una settantina di chilometri  raggiungiamo Passu dove un ghiacciaio arriva quasi fin sulla strada e tutto intorno è un anfiteatro di montagne fantastiche con centinaia di guglie che le hanno dato il nome di Passu cathedral.. Più avanti un'altra grande montagna, il Golden Peak e poi Sost, ultimo posto abitato sulla strada del Kunjerab. Qui ci ritirano i passaporti e ce li ritorneranno solo al ritorno. Incontriamo lungo la strada anche tre yak, bovini che possono vivere  solo sopra i 2.000 metri e ricoperti di pelo invece che cuoio. Eccoci ora al passo Kunjerab, al mitico passo dal quale si entra in Cina. Qui si è inglobati in una conca circondata da montagne altissime. L’aria è rarefatta, non ci sono case  ma solo un gabbiotto per i tre o quattro militari cinesi e pakistani che controllano questo che  uno dei luoghi più strategici al mondo. Una stele raffigura i colori pakistani da un lato e cinesi dall’altro in memoria a tutti coloro i quali hanno perso la vita per realizzare sicuramente una delle più ardite strade di montagna della Terra. Ritorniamo a Sost dove ci riconsegnano i passaporti e poi ci fermiamo al paesino di Dasu. Sulla strada del ritorno ripassiamo da Passu e dai piccoli villaggi prevalentemente di religione ismailita musulmana. Karimabad infatti, principale villaggio ismailita vuol dire città di Karim, il famoso Aga Khan, padrone di mezza Sardegna. Fu suo nonno a fondare questa setta islamica e anche lui spesso volte torna in Pakistan anche se la sua residenza è a Parigi. L’Aga Khan finanzia coi suoi soldi molte costruzioni pubbliche come scuole ed ospedali e tutti da queste parti lo considerano come un dio. Arrivati all’ albergo PTDC di Karimabad a lato della strada riposiamo un po’. E’ stata una giornata particolare e tutti e due non stiamo molto bene, forse per gli effetti dell’altitudine. Domani sarà ancora una bella giornata e ridiscendiamo attraverso la medesima strada dell’andata riammirando lo stupendo Rakaposhi e entrando a Gilgit dove approfittiamo per fare una passeggiata. La giornata termina all’albergo PTDC che ci ha accolti all’andata e l‘indomani raggiungiamo in fretta il paese di partenza di Besham sempre con le solite frane ed escavatrici al lavoro ma questa volta cambiamo direzione lungo una vallata laterale. Il paesaggio è meno aspro che nel Kohistan ed i terrazzamenti coltivati arrivano quasi in cima alle colline con abitazione aggrappate qua e là. La strada non è bella ma l’ambiente è ricco di umanità variegata e di villaggi. In uno di questi Gianni scende per acquistare della frutta e subito è un nugolo di bambini  incuriositi intorno a noi. Più avanti sosteremo nuovamente nei pressi di un baracchino che vende pannocchie. Le tenebre sono già in parte calate anche perché c’è un po’ di nebbia che sarà più fitta lungo la discesa fino a Mangura, importante città della Swat valley dove sostiamo per la notte. Dopo cena, una passeggiata sull’arteria principale e quindi si fa ritorno all’albergo. La giornata seguente inizierà con la visita alla Swat valley dominata dal fiume omonimo che ha conosciuto una straordinaria era nell’epoca Gandhara, sotto i re Kushana che l’hanno impreziosita di tante testimonianza buddiste. Subito dopo sostiamo un attimo per ammirare un bellissimo ponte sospeso e  poi compriamo dieci trotelle che ci facciamo cucinare al paese seguente di Madian leggermente in altura. E’ una località turistica molto graziosa con qualche decoroso complesso alberghiero. Si va quindi a Batkara a visitare resti buddisti tra i quali uno stupa fatto erigere da Ashoka, il primo grande re buddista. Valicato il passo Malakand scendiamo giù dall’altro lato fino alla pianura di Peshawar. La sera cala in questa zona tribale che non accetta ancora completamente gli ordini che gli vengono dalla capitale Karachi. Arrivati a Peshawar alloggiamo per una volta in un albergo di lusso, il Pearl Continental, uno dei più belli di tutto il Pakistan. Una piacevole lavata che ci rende presentabili e poi giù al ristorante dopodiché al locale dove servano(solo a stranieri)alcolici. Bisogna compilare un modulo e poi ci danno due birre come da richiesta. Il permesso è un documento  eccezionale perché si tratta di qualcosa di unico in tutto il paese. Ci si sveglia tardi al Pearl e subito dopo via con Iqbal alla stazione di polizia. E’ nostra intenzione infatti recarci al Khiber pass e a Darra e per ambedue le località è necessaria l’autorizzazione della polizia che fornisce anche un uomo armato. Per il Khiber pass non ci saranno problemi ma per Darra non ci verrà dato l’ok. E’ un paese a sud di Peshawar famoso perché quasi ogni abitante si dedica alla fabbricazione di armi da fuoco, spesso imitazioni di celeberrimi mitra, fucili, pistole russe o americane. E’ zona tribale e in questo momento è pericolosa. Negli ultimi tempi qui hanno fatto letteralmente sparire un camion di farina con scorta armata. Da quando poi è scoppiato il problema afgano si fabbricano armi che servono alla guerriglia perciò si intuisce quanto sia un luogo delicato.  Ottenuta l’autorizzazione si parte per la visita alla città nota già migliaia di anni fa per essere stata un importante punto sulla via della seta. Entriamo con Iqbal nel museo dell’epoca Gandhara, ricco di ritrovamenti interessantissimi. Al suo interno pezzi di stupa realizzati con pietre tipo basalto.  Sono molte le testimonianze dalla Swat valley come monete, armi, vasellame e costumi oltre a reperti della Chitral valley che però nulla hanno a cha fare con il buddismo essendo loro delle popolazioni pagane. Uscendo dal museo si prende la direzione della città vecchia verso il bazar più famoso di tutto il paese diviso in diverse sezioni a secondo della natura di ciò che si vende. A metà della sezione dell’oro  e dei gioiellieri c’è l’entrata per la moschea più importante della città, la Mahabat Khan dove assistiamo curiosi ai riti delle abluzioni dei fedeli. Il bazar di Peshawar è davvero brulicante di persone, un crogiolo di razze e costumi che fa perdere la testa. Ci sono anche gli afgani  più avanti, specialmente nella piazza Chowk Yadgar. Sono Mujaeddin cambia soldi presenti in buon numero qui a Peshawar. Questa è la zona anche dove risiede la maggior parte dei partiti afgani in esilio dopo l’occupazione forzata da parte dei russi E’ qui il loro quartiere generale da dove dirigono le mosse per contrastare lo strapotere militare e l’arroganza russa. Più di un milione di profughi si è riversata in questa città  e nei suoi dintorni dal 1979. Ci sono numerosi campi in periferia che ci prega Iqbal di non fotografare neppure, tanto è profondo l’orgoglio e la suscettibilità dei Mujaeddin. Si prosegue la visita del bazar attraverso le altre sezioni degli alimentari, dei tessuti, degli articoli casalinghi e dei calderai. Numerose donne con la burqa ci confermano come la più rigida tradizione islamica qui è dura a morire. Alle 14.00 si va a pranzo in un locale che Iqbal ci dice essere molto famoso. Chissà gli altri!. Comunque il nan e il chiken tandoori sono veramente buoni. Si passeggia ancora un po’ e poi si trova un albergo più a buon mercato ma tornando sempre al Pearl Continental per la cena a buffet. La mattina seguente, dopo una nottata di caldo afoso ci presentiamo ancora al Pearl per la colazione e poi si ripassa dalla polizia dove ci danno una guardia armata di 50 anni. Si esce dalla città fra villaggi di profughi a destra e sinistra fino a sostare alla porta d’ingresso per il Khiber. Siamo in una zona pericolosa per i turisti ed è necessario che prima di scendere noi scenda la guardia. Dopo la porta è subito zona tribale. Ce ne sono tante  e quasi tutte stanno ai confini con l’Afghanistan. Sono zone che si sentono autonome e che mai nessuno è riuscito a soggiogare. Hanno sconfitto i moghul, gli inglesi e non amano sentirsi dire quello che devono fare. In maggioranza sono Patan una delle tribù più numerose al mondo. Se ne calcolano circa 15 milioni. Sono fieri, combattivi e si fanno giustizia da soli seguendo un codice d’onore e comportamentale vecchio di secoli. Girano con il fucile che loro considerano parte integrante dell’abbigliamento. Loro credono che se tutti avessero un fucile nessuno penserebbe di usarlo contro l’altro mentre ciò accadrebbe se ci fosse una disparità di forze. Lascio a voi il giudizio!. Durante il tragitto Iqbal mi prega più volte di non uscire dal finestrino come spesso mi ha visto fare per filmare. Tutto intorno è zona aspra, arida, con villaggi di fango e pietre dove i Patan vivono gelosi della loro privacy e della semi indipendenza concessa dallo stato, che raramente interviene nelle loro questioni. Un anno fa a causa di un gruppo di turisti troppo intraprendenti essi hanno trovato al ritorno un posto di blocco dei Patan che hanno loro rubato tutto. Vicino al Khiber c’è una roccia sulla quale si possono ammirare gli stemmi delle guarnigioni inglesi vinte in battaglia. Più avanti eccolo e in se stesso non ha molto da dire ma nella storia ha rivestito una importanza strategica infinita essendo l’unico accesso al subcontinente indiano dall’Asia centrale dato che poi le montagne del Pamir e dell’Hindukush si alzano altissime. Questo passo è sempre stato il luogo ideale per entrare in Pakistan e quindi in India (una terra di conquista) fin da Dario, re dei persiani, da Alessandro Magno, dai mongoli e dai moghul. In questo punto si notano le posizione afgane denominate da numeri che controllano la fuoriuscita dei mujaeddin che comunque riescono a migliaia ad uscire alle montagne circostanti. Si ritorna, ammirando ancora i villaggi tribali. Raggiungiamo il ristorante di Peshawar (Salatene) dove gustiamo una coscia di agnello deliziosa e poi si prosegue per Islamabad e Rawalpindi dove arriviamo verso sera alloggiando al solito PTDC. L’indomani si parte alle 6 e veniamo bloccati da una manifestazione studentesca che ci costringerà ad una deviazione nelle campagne che comunque ci risulta gradita dato che consente di entrare in un mondo differente dove la gente è “semplicemente felice”. Bambini giocano spensierati, bufali ovunque e campagne coltivate. C’è una serenità palpabile. Non una macchina. Solo biciclette e carri trainati. La gente appare diversa da quella del nord. Si ritorna sulla strada principale che ci porterà a Lahore ”la perla del Punjab”. Siamo infatti nel Punjab pakistano, nome che significa terra dei cinque  fiumi. C’è anche il Punjab indiano patria del sikhismo con la capitale Amritsar. Incontriamo un mercato del bestiame con centinaia di bufali che meritano una sosta. Si riparte e dopo un po’ eccoci alle porte di Lahore. Siamo arrivati fin qui per completare un viaggio memorabile con i documenti storici dei moghul. Ecco infatti, poco fuori dalla città, la tomba di Nur Jahan, la moglie di Jahangir, padre di Shah Jahan. E’ una costruzione spoglia dove la tomba di marmo superiore è per i visitatori ma quella vera, con le spoglie è in una sezione inferiore. Più avanti visitiamo il mausoleo di Jahangir, costruzione che ricorda fortemente il Taj Majal di Agra. Di fronte alla cappella dove è custodita la tomba di questo imperatore moghul c’è anche il tumulo di Khunran, il secondo figlio. Dei giardini impreziosiscono la costruzione rettangolare con quattro bei minareti. Tutto è costruito in marmo bianco intarsiato con lamelle di marmo nero e pietre preziose. L’architettura moghul non ha niente da invidiare alle splendide opere d’arte del nostro paese. Si entra infine in città prendendo alloggio all’International. Sistemate le nostre cose ritorniamo fuori con Iqbal con il quale ci rechiamo ai giardini Shalimar all’esterno dalla città. Fu voluto da Shah Jahan dopo che fece costruire un canale per portare le acque del fiume Ravi da Raypur a Lahore. Sono dei giardini meravigliosi anche se le varie fontane che potrebbero abbellirli sono fuori funzione. Sono costruite in tre terrazze degradanti ognuna con una sua funzione specifica. Si ritorna all’albergo e di sera ceniamo al Pearl Continentalal, al suo gustosissimo buffet. Il nostro ultimo e dodicesimo giorno di viaggio è arrivato. Sveglia presto e via verso il forte di Lahore L’entrata sembra anonima  ma poi si è colpiti da costruzioni sensazionali come la moschea del forte, tutta in marmo con delle sezioni intarsiate in pietre preziose molte delle quale rubate dai sick durante periodi successivi. All’interno del forte c’è anche una sala con reperti sick, costumi oltre ad altri pregevoli manufatti. Dall’alto si ha una bellissima visione della vicina moschea Badshahi. Ammiriamo quindi una cupola di marmo con lastroni ricurvi davvero sensazionale. E’ un opera finissima ed originale. Ecco un’altra costruzione con il soffitto fatto di lastre di marmo. Visiteremo anche il palazzo degli specchi, semplicemente favoloso. Non per niente questo forte è stato dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. L’architettura moghul è ricca di particolari unici. Usciamo dal forte entrando nella moschea Badshahi proprio di fronte, voluta anch’essa dal grande Aurangzeb. A differenza di Akbar, più moderato e accondiscendente, Aurangzeb  fu un imperatore intransigente ed integralista musulmano e la sua politica contro la diversità di culto, specie verso i sick portò alla disintegrazione di una delle dinastie più luminose che la storia ricordi. Dopo di lui il declino fu rapido e quando i sick presero di nuovo il potere rovinarono molte delle opere dei moghul depredandole dei loro intarsi preziosi, cancellando in parte uno splendore rimasto intatto almeno nel Taj Mahal. La moschea Badshahi ha un bel portale in arenaria rossa  che anticipa un grande e spazioso cortile di fronte al quale ecco l’interno vero e proprio con la cabina del mullah-imam. Il portale è molto bello e dei marmi fanno dei disegni floreali tutto all’interno. La manifestazione pittorica islamica non può essere antropomorfa ma solo zoomorfa ecco perché non si vedranno mai disegni o dipinti di persone ma solo di cose. Sia il forte che la moschea hanno un entrata da una bella piazza nel cui centro c’è un mausoleo di un poeta locale. A dare più splendore a questo luogo unico c’è anche un bel tempio sick però chiuso al momento. Che mattinata!. Siamo sprofondati in un bagno di cultura a livello mondiale. Si riparte ora per Islamabad facendoci tornare alla mente tutte le fasi salienti del viaggio. Per la prima volta mi sono immerso nel mondo islamico asiatico ed ho potuto incontrare popoli come gli hunzakut e i kohistani fino a pochi decenni fa isolati ed indipendenti. Grandi montagne e tesori artistici dell’epoca moghul. Nel primo pomeriggio facciamo ritorno a Rawalpindi e dopo aver trovato un alberghetto, modesto per una sana doccia rinfrescante si cena insieme ad Iqbal dandogli l’addio. Molta emozione all’aeroporto per salutare non un semplice autista ma un gradevole compagno di viaggio che ricorderemo con affetto. Si parte in orario ma come sorpresa uno scalo supplementare a Lahore non previsto. A saperlo saremmo partiti da quella città comunque questo non riuscirà certamente a farci perdere il sorriso e la consapevolezza di aver realizzato un viaggio davvero entusiasmante.

 

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