2005 TUNISIA - DJERBA

 Deserti Berberi

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Il Borj el Kebir di Houmt Souk ( Djerba )

Chiamare con l’appellativo di viaggio stare richiusi per due settimane in un villaggio mi pare improprio, azzardato e gli assegnerei piuttosto la denominazione di vacanza per pensionati. Tuttavia dalla nostra Djerba in Tunisia non erano moltissime le escursioni che si sarebbero potuto fare e buona parte di ciò che meritava di essere visto l’ho potuto ammirare durante tre giorni di tour de force durante i quali ho percorso da solo gran parte del sud tunisino. Per il resto …. solo villaggio e noia. Raggiunto l’aeroporto di Orio al Serio partiamo alle 2.55 con un volo della Tunisair alla volta dell’isola di Djerba. All’arrivo, dopo il disbrigo delle pratiche aeroportuali ci portano con un pulmino al villaggio di destinazione: il Melia Menzel, molto prossimo al Mediterranee. Ci consegnano le chiavi dell’alloggio che è fin troppo grande per sole quattro persone. Buonanotte, fino alla mattina alle 9.00 quando dopo colazione assistiamo al solito breefing dove ci illustrano le escursioni possibili. Il litorale non è lungo dato che molta spiaggia è impraticabile per via di cumuli di alghe ammucchiate un po’ qui e un po’ là. Già sapevo che in questa zona della Tunisia ci sarebbe potuto essere questo spiacevole inconveniente ma abbiamo voluto ugualmente rischiare. In effetti non si tratta di mucillagine come quella presente talvolta nel nostro mar Adriatico ma un problema più naturale che non ci ha portato troppi fastidi. Quella nei pressi del locale sport acquatici è graziosa ed il suo mare calmo, quasi piatto. Trascorriamo qui il nostro tempo fino alle 18.30 quindi doccia, cena e la solita minidance del villaggio per far divertire i bambini. L’indomani, come del resto anche il giorno successivo saranno la fotocopia del giorno odierno con il solito relax in spiaggia e niente più. Di sera invece ci consegnano l’auto che abbiamo prenotato, con la quale tentiamo di organizzare la prima escursione. Se dovesse andare tutto come nelle aspettative potremmo realizzarne altre in seguito. Speriamo bene!. Con un automobile in mano è tutta un'altra cosa. Si parte molto presto in direzione nord raggiungendo dapprima la località di Midoun per fare benzina proseguendo poi verso il porto di Houmt Souk, il capoluogo di Djerba. Dove aver parcheggiato girovaghiamo per il centro visitando le mille botteghe con sarti, mercanti e souvenir. Siamo circondati da un dedalo di vicoli dai quali credo di districarmi bene ma così non sarà e solo grazie a Gosia riusciremo a ritrovare l’auto. Per un viaggiatore come amo definirmi, questa è una figura da idiota patentato e non cerco scuse, solo sprofondare in una palude!. Il monumento più interessante della cittadina è il Borj el Kebir, un antica fortezza del 15° secolo rinforzata prima dal corsaro Dragut nel 1556 e poi dagli spagnoli nel 1560. Sono presenti solo alcuni cannoni oltre a resti di non particolare pregio. Ripartiamo per la famosa sinagoga di Djerba, l’Hara Sghira, sede di un attentato terroristico nel 2002 dopo il quale l’ingresso è stato reso più sicuro utilizzando un metal detector. Le origini di questa comunità ebrea si perdono nella notte dei tempi e dopo le molte campagne persecutorie in Europa molti vi si rifugiarono. Le donne qui vestono ancora i loro costumi tradizionale. La sinagoga, decorata da belle ceramiche smaltate e policrome custodisce, inaccessibile al pubblico una delle Torah  più antiche esistenti al mondo. Molto bello è anche l’altare di legno!. Facciamo ritorno al Melia Menzel per pranzare. Giorgio e Paolo sono già cotti dal sole ed in effetti la Tunisia in estate ha una temperatura decisamente insopportabile. Decidiamo di non torturarli anche al pomeriggio optando invece per un sito nei pressi di un faro dove è presente una gradevole spiaggia dove ci concediamo un paio d’ore di vita balneare. Il mare è pulito ed è un gran divertimento giocare con le sue onde. Lasciato questa luogo deliberiamo di visitarne un'altra salendo più a nord, alla fine della zona degli hotel. Anche qui vi trascorriamo un paio d’ore in serenità per poi fare ritorno al villaggio.  Ci vuole poco per intuire che con i figli non potremo raggiungere i siti che tanto ci sarebbe piaciuto visitare perciò rendiamo possibile l’unica alternativa che potrebbe valere la pena di seguire. Gosia si aggregherà ad un gruppo organizzato per una escursione di due giorni verso le case troglodite di Matmata ed il deserto di Douz mentre io starò al villaggio con Giorgio e Paolo. Quando tornerà, partirò invece io con una Fiat Uno presa in noleggio per tre giorni andando alla scoperta del sud tunisino. Si rivelerà una scelta azzeccata perché i figli si sarebbero sciolti nel caldo che abbiamo patito. Il giorno seguente Gosia parte perciò alle 6.00  con un pullman mentre io trascorro tutto il tempo fra sala ristorante e spiaggia. Se continuo di questo passo potrei trasformarmi nell’omino Michelin!. Anche il giorno dopo può essere archiviato allo stesso modo ma se non altro è caratterizzato dal ritorno di Gosia alle 18.00 che ci racconta piacevolmente i must della sua escursione. Sono andati a vedere lo “ksar” di Medenine e da lì hanno raggiunto Gabes, sul golfo omonimo dove hanno conosciuto il locale souk. Da lì sono ripartiti poi alla volta di Matmata e Douz, alle porte del deserto dove hanno realizzato una cammellata a fine giornata. Di mattino presto hanno poi proseguito attraversando il Chott el Jerid per visitare le oasi di montagna  ritornando successivamente al villaggio. E’ soddisfatta dell’esperienza fatta e ne sono felice. Domani sarà una classica giornata da spiaggia e villaggio perciò non spendo altre righe mentre il giorno successivo è il mio turno. Mi sveglierò prestissimo e dopo colazione alle 6.00 del mattino parto alla volta di El Kantara, attraversando il ponte romano che collega l’isola alla terraferma. Improvvisamente ho espulso tutte le tossine del villaggio e sono liberi di spaziare, libero come il vento. Direzione Zarzis, altra zona molto rinomata, piena di hotel e villaggi. Proseguo fino a Ben Guardane in un paesaggio desolato in direzione della Libia e della sua capitale Tripoli, distante solo 200 chilometri. Proseguo quindi verso l’interno del paese fra piccoli villaggi e distese di deserto pietroso fino a Tataouine,  cittadina abbastanza grande con un mercato caotico. Vi esco in direzione di Beni Barka, primo ksar anche se in rovina del mio viaggio al sud. Gli ksar sono sorte di depositi, rifugi, risalenti ai tempi dei Douiri. Queste strutture, come dei villaggi fortificati, erano eretti per difendere le scorte alimentari delle razzia dei nomadi ed era amministrato dall’assemblea dei capifamiglia. Costruiti in fango e terra comprendono granai, moschee ed una piazza pubblica. Terminata la breve visita mi dirigo verso Maztouria, fagocitato in un paesaggio roccioso composto da colline e speroni rocciosi. Ecco finalmente il famoso ksar Ouled Soltane ancora in parte abitato che conserva una delle più belle “ghorfa” tunisine. Le ghorfa sono delle cellette mono familiari all’interno del granaio per la conservazione delle scorte d’alimenti. Riparto per Ezzarah dove ammirerò forse il più bel ksar di tutto il viaggio. Mi pare il più affascinante e ben conservato, immerso com’è in un contesto abitativo integro, intatto. E’ un tuffo nel medioevo e dove alcune ghorfa sono ancora abitate ospitando attività commerciali. Ritorno a Tataouine per poi uscirne di nuovo alla volta di Cheninì, la cui parte vecchia è arroccata su uno sperone roccioso. E’ un villaggio berbero scavato nel tufo della montagna. Salgo con l’auto fino ad incontrare un ragazzo che parla un po’ di italiano il quale mi vuole fare da guida. Accetto e lo invito a salire.  Con lui proseguirò fino in cima dove fa davvero un caldo pauroso. Alcune abitazioni sono tuttora abitate. All’interno si dorme mentre i pasti vengono consumati al di fuori dove è collocato anche il bagno.  Raggiungiamo poi un cimitero lì vicino con grandi pietre tombali vicino al quale è presente una piccola moschea che racchiude il cenotafio di un famoso personaggio locale. Accanto è una grotta dove sono conservate le spoglie dei “Sette dormienti”, mitici personaggi che convertitosi al Cristianesimo nel 2° secolo si risvegliarono dopo la morte del profeta Maometto diventandone seguaci. Visito anche alcune abitazioni rupestri notando donne berbere nel loro costume tradizionale. Il caldo è infernale e sosto a Cheninì basso alfine di riequilibrare i liquidi. Attraverso una piana raggiungo in seguito il villaggio di Guermassa. Salgo lungo un sentiero accidentato ammirando un sito rupestre davvero pregevole. C’è una piccola moschea proprio al centro, tra due gruppi di case rupestri. L’ambiente è affascinante e non ci si può esimere dal sostare e contemplare il luogo. Sono solo ad ammirare un sito incantevole tra due speroni rocciosi. Proseguo il tour attraversando Ghoumressen ed arrivando allo Ksar Hadada che costituiva in origine il granaio fortificato di una popolazione nomade proveniente dal villaggio prima citato. Qui furono girate alcune scene  del primo film della saga di guerre stellare di George Lucas. Sosto dopo la visita, mangio qualcosa  e riparto poi in fretta, direzione Medenine, attraverso uno splendido paesaggio di saliscendi. Da qui volo verso la celeberrima località di Matmata al centro di un vallone circondato da rilievi spogli e dalla forma arrotondata, caratterizzati dalla presenza di circa 700 crateri che costituiscono altrettanti nuclei abitativi. Sono le case troglodite!. Anche in questo luogo Lucas girò molte scene del suo film. E’ mia intenzione raggiungere prima il famoso alberghetto ricavato all’interno di una di esse. Si chiama Sidi Driss ed anche questo sito è stato filmato!.  Prendo possesso di una stanza, come le altre scavata nella roccia calcarea e con una guida raggiungo una casa troglodita che visito prima che il sole si conceda il suo riposo quotidiano. L’ingresso si apre sul fianco laterale alle ondulazioni del terreno dopodiché  un tunnel coperto conduce ad un cortile centrale di dieci metri circa di diametro e sette di altezza mentre un altro cunicolo collega invece alla stalla. Al piano terra si affacciano numerosi ambienti destinati ad usi diverso come camere, magazzini. In ogni casa troglodita vivono più famiglie che poi si trovano a mangiare di fuori nel cortile. Ritorno al Sidi Driss, nella mia stanza. Sotto la porta c’è uno spazio di tre centimetri dove può entrare di tutto. Dopo una doccia nel reparto bagno del rustico albergo ceno da Chez Abdul quindi mi tuffo a dormire. Il giorno seguente mi sveglio molto presto dato che è mia intenzione raggiungere Douz prima possibile. Alle 5.20, dopo essermi sbarbato ed aver contato cinque scarafaggi camminare tranquillamente nel cortile vicino alle entrate delle stanze lascio l’albergo. Il paesaggio è lunare, affascinante. Dapprima la luce è minimale per poi scoppiare nel cielo. Attraverso il villaggi di Temerzet per poi discendere fino a Douz ”la porta del deserto” dopo 100 chilometri di nulla. Douz è sede di molte organizzatori di viaggi nel deserto e sarebbe bello approfittare di una escursione ma io ho il tempo contato e non mi è concesso, se voglio portare a termine l’itinerario che mi sono prefissato. Lasciato Douz punto l‘auto verso Zafrane da dove partono di solito le cammellate nel deserto. Qui vivono gli Adhara, allevatori transumanti e alcuni di loro appunto si sono trasformati in guide dei numerosi trekking turistici. Mi spingo sino all’interno con l’intenzione di visitare le coltivazioni e raggiungere le propaggini delle dune ma mi inoltro troppo e decido che per sicurezza sia meglio abbandonare l’idea. La pista poi è brutta ed infatti buco una gomma. La sostituisco cercando in seguito di trovare un gommista e sulla strada che bordeggia il Chott el Jerid, il grande lago salato ne troverò uno in un villaggio dove tra l’altro approfitto per fare colazione. Il danno è sistemato e posso ripartire immergendomi in un paesaggio molto bello, caratterizzato da ambiente desertico di vario tipo che va dal pietroso al sabbioso. Di tanto in tanto qualche dromedario che vaga apparentemente in libertà e un ampiezza di vedute che libera lo spirito da mille tossine. Proseguo fino a Magon Redjim Maatoug, un villaggio gettato nel nulla dove la sabbia occupa sempre di più gli spazi che l’uomo ha voluto rubare al deserto. Le piste interne sono bianche  e tutto è dominato dalla sabbia che circonda l’abitato pronta a rimpossessarsene. Non incontro alcun turista e anche poca gente. Qui sono arrivato proprio alla fine della Tunisia, fuori dai circuiti turistici e fra poche decine di chilometri sarò a Matzouha, l’ultimo villaggio prima del vuoto del Sahara. Oltre c’è lo sterminato deserto dell’Algeria. La strada prosegue verso ovest costeggiando il confine che  proprio è qui a due passi. Proseguo in solitaria mentre alla mia sinistra corre parallela la strada algerina. Di tanto in tanto incontro delle sorte di fortini che forse controllano le frontiere. Raggiungo un posto di controllo della frontiera dove mi chiedono che ci faccio qui e rispondo che voglio raggiungere Hazoua, al confine e poi deviare verso l’oasi di Nefta, gradevolissima cittadina dove mi dirigo subito verso il centro. Assoldo un ragazzino per meglio conoscere ed avere un filtro che mi consenta di districarmi meglio. Visitiamo prima un palmeto, alimentato da numerose sorgenti. Un modesto sistema di canali regola la distribuzione dell’acqua dei 152 pozzi. Finalmente ecco il marabut di Sidi Bou Ali. All’interno c’è una sala che raccoglie le sue reliquie ma purtroppo il sito è interdetto ai non musulmani e ritorniamo al centro attraverso un dedalo di vicoli affascinanti e porticati realizzati con piccole mattonelle poste a motivi geometrici e di colore ocra. Ogni tanto portoni intarsiati con due o tre batacchi. Quelli superiori sono per la moglie e per il marito mentre in basso è quello usato dai bambini. E’ piacevole girovagare anche se fa un caldo pauroso(45°C). Con l’auto completiamo seppur superficialmente la visita di Nefta ammirandone la moschea principale del XVI secolo. Saluto il ragazzino che nel frattempo ha voluto conoscessi la madre  e alcune stanze della sua casa. Macinando ancora qualche decina di chilometri  raggiungo la mitica Tozeur, l’oasi più importante di tutto il sud della Tunisia. L’idea è quella di pernottare qui ma ad un primo giro di perlustrazione mi pare sia una cittadina troppo turistica e con grandi alberghi. Intuisco d’immediato che non ne ricaverò le emozioni che mi sarei aspettato così, dopo una prima visita su di un carretto turistico mi reco in centro, realizzato in sostanza con la medesima tecnica architettonica già ammirata a Nefta. Questa gente ha saputo intelligentemente adattare la natura convogliandola alle proprie necessità. L’oasi è un sistema complesso e nello stesso tempo semplici di garantirsi una vita in zona desertica. Le alte palme da datteri proteggono dalla calura gli alberi da frutto  posti ai loro piedi. All’ombra poi di questi ultimi vengono in seguito coltivati gli orti che offriranno agli abitanti le verdure e i legumi, le spezie e la frutta. Dopo una visita generica del centro vecchio decido di riprendere l’auto e andare verso le oasi di montagna. Appena fuori Tozeur noto un monumento molto interessante realizzato con le rose del deserto.  Mi dirigo verso le montagne del nord fino a raggiungere Chebika. Una fila di jeep sono sulla mia scia e attraverso lo specchietto vedo che deviano attraverso un sentiero in mezzo alle palme per raggiungere uno spazio adibito a parcheggio. Le seguo sino a posteggiare fra Land Cruiser e pullman. Solo io ho un’auto normale!. Ovunque negozi d’artigianato e una valanga di ragazzini pronti a domandare, proporti questo o quello. Aspetto che un gruppo inizi la salita e li seguo a debita distanza sfruttandone la guida. Dicono che questa oasi corrisponda alla romana Ad Speculum, stazione difensiva sulla strada fra Tacapa e Gabes. Il vecchio villaggio, costruito in pietra e terra è aggrappato sul fianco della montagna ed in rovina. Il villaggio attuale è più in basso. Le sorgenti sono a circa 500 metri dall’abitato in una gola incassata fra rocce rosse che raggiungo senza problemi. C’è una piccola pozza d’acqua che fa la felicità di alcuni bambini locali e da qui partono canalizzazioni che portano il prezioso liquido fino alle abitazioni e agli orti. C’è una calura terribile che mi fa scendere gocce di sudore direttamente negli occhi. Si sale fino ad un view point da cui si può godere una bella vista sulla zona. Riparto verso la successiva oasi di Tameghza salendo attraverso una bella strada. La mia idea è quella di trovarvi sistemazione per la notte e poi visitare la vicina località di Mides, l’ultima oasi al confine con l’Algeria. Raggiunto l’hotel de Cascades dove avrei intenzione di trascorrere la notte mi accorgo però di aver nuovamente bucato perciò la prossima ora sarà tutta dedicata alla ricerca di qualcuno che sappia risolvermi il problema. Assoldo un ragazzo  con il quale poi visiterò Mides da cui si gode una stupenda vista sul canyon sottostante. Tornati a Tameghza mi faccio indicare da lui un hotel modico e dopo una salutare doccia (bollente) trovo un locale dove cenare  a base di couscous di tacchino e agnello. In albergo il clima è insopportabile e non si riesce a dormire ma finalmente arriva mattino quando riparto alla volta di Metlaoui. La strada scende fra graziosi paesini. Lungo il tragitto osservo le strutture che attraversano la strada di continuo trasportando i  fosfati delle miniere vicine. Un escursione interessante si potrebbe fare alle gole di Selja che offrono il grandioso spettacolo di una stretta faglia dentro un anfiteatro naturale ed il mezzo migliore per arrivarci è un trenino turistico chiamato Lizard (lucertola) che parte proprio da Metlaoui sembra alle 9.00. Purtroppo raggiunta la stazione vengo a sapere che è programmata invece un ora più tardi. Fatti tutti i debiti calcoli non mi posso permettere questa escursione ed è meglio che raggiunga Douz più in fretta possibile. La strada da percorrere è ancora molta e preferisco dedicare il tempo che mi rimane a qualcosa  che sia più vicino a Djerba, dove staserà dovrò riconsegnare l’auto. Attraverso perciò tutto il Chott el Jerid, una immensa distesa di sale dai riflessi argentati e violacei, priva di ogni forma di vita. Mi soffermo talvolta ad ammirare qualche scorcio suggestivo fino a raggiungere Douz da cui esco subito proseguendo per Matmata alla porte della quale noto una bellissima casa troglodita che mi soffermo ad ammirare. Proseguo poi per il villaggio di Haddej che dicono essere più vergine di Matmata ed infatti non vi noto alcun turista e posso godere in solitudine di un ambiente davvero d’altri tempi, con case che forse non saranno ristrutturate come quelle della sua gemella più famosa ma certamente più vere, ruspanti. Lascio la zona ridiscendendo verso Medenine. Sono in ritardo e dovrò correre per raggiungere Djerba in tempo ma riuscirò nel mio intento. Superato Zarzis e giunto al ponte romano eccomi nuovamente sull’isola. Fra poco riabbraccerò la famiglia. Gosia senz’altro si starà domandando che fine abbia fatto ma ormai è abituata alle mie peregrinazioni e  sa che alla fine sono sempre tornato senza alcun problema.  Il giorno seguente si snoda sulla stessa falsariga dei precedenti al villaggio perciò non vorrei dilungarmi troppo e per quanto riguarda quello dopo devo purtroppo ripetere la solita filastrocca. La vacanza sta terminando e dopo altri due giorni di noia assoluta riconsegniamo le chiavi alla reception attendendo il pulmino che ci riporterà al locale aeroporto internazionale. Di certo non ricorderò questo viaggio come uno dei più straordinari ma è ugualmente servito per darci un idea del paese che speriamo in altra occasione di visitare questa volta nella sua parte settentrionale.

 

 

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