1994 Uganda - Zaire

I gorilla di montagna e la tragedia dei profughi ruandesi.

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Uganda - Kabalega park - Coccodrilli del Nilo

Da molti anni era mio desiderio effettuare questo viaggio in Zaire alla scoperta dei famosi gorilla di montagna che tanti naturalisti hanno interessato negli ultimi vent’anni a causa principalmente del pericolo di estinzione che correvano e che corrono tuttora per via del bracconaggio e della sovrappopolazione del paese che li ospita. Tutto era pronto ed organizzato per il 25 di Aprile del 1994 con arrivo a Kigali in Ruanda e proseguimento per Goma in Zaire con la jeep. Purtroppo il 6 Aprile arriva una drammatica notizia: l’aereo sul quale viaggiavano i presidenti Hutu ruandese Habyarimana e del vicino Burundi Ntaryamira è stato abbattuto, praticamente disintegrato mentre stava atterrando nell’aeroporto di Kigali. E’ il caos! Gli Hutu, l’etnia dei due presidenti (che danno colpa dell’attentato ai Tutsi), danno inizio ad una rappresaglia in città che  porta in pochi giorni ad una situazione di completa ingovernabilità. Le notizie che giungono dal paese africano sono preoccupanti fino a che la sconsolante notizia. Nessun visto è possibile per il Ruanda e altre soluzioni sono impossibili. La tensione fra gli Hutu e la minoranza Tutsi sale ai massimi livelli e la guerra civile esistente già da tre anni(ma che non impediva di fatto ai turisti il viaggio verso i gorilla) ora si trasforma in ecatombe. Notizie parlano di decine di migliaia di morti fra i Tutsi colpiti dalla ferocia inaudita delle milizie Hutu che a colpi di machete fanno scempio dei corpi nemici. L’odio tribale tra i Tutsi, da sempre nei posti chiave del paese da quando i Belgi avevano concesso l’indipendenza nel 1964 e gli Hutu prevalentemente contadini aveva portato spesso a scontri ma ora si è scatenata una caccia ai Tutsi inaudita e dalla radio Hutu “Mille colline” più volte si è arrivato a dire” Ora non dobbiamo più sbagliare, dobbiamo colpire anche i bambini”. In molti parlano che in Ruanda è in atto una sorta di ”soluzione finale” che vuole i Tutsi spariti dalla faccia della Terra e l’efferatezza con il quale viene portato avanti il progetto  è stato ampiamente documentato su tutti i giornali con stragi inenarrabili. Si dice che  già 500.000 sono i morti che portano il genocidio ruandese ad essere considerato come uno dei più gravi dopo la fine della seconda guerra mondiale. Immagini raccapriccianti del fiume Kagera che trasporta i corpi decapitati di migliaia di ragazzini fino al lago Vittoria dove ormai, nei pressi delle spiagge ugandesi c’è un tappeto di 40.000 cadaveri che crea un emergenza sanitaria inimmaginabile. Si parla che gli Hutu quando le loro vittime hanno i soldi li uccidono con una pallottola, altrimenti li massacrano all’arma bianca. I caschi blu dell’ONU sono impotenti mentre gli Hutu danno caccia ai Tutsi ovunque, nelle chiese, nelle scuole, negli ospedali con una ferocia che ha pochi eguali nella storia dell’umanità. Col tempo però le sorti della guerra civile mutano e la guerriglia Tutsi principalmente organizzata dall’Uganda dal generale Kagame ha ragione delle milizie Hutu riuscendo prima ad occupare l’aeroporto e quindi anche il palazzo presidenziale. Nel frattempo, con il mio contatto (un capo di un tour operator italiano) si sta organizzando il viaggio per Luglio ma atterrando in Uganda e raggiungendo via terra lo Zaire. Il loro corrispondente a Goma (un romano di nome Corrado) vuole tornarvi per accertare la situazione locale e delle sue cose così  si dice disposto a portarmi con lui anche se il programma potrebbe variare a causa delle situazioni contingenti. Vedremo, intanto le notizie che arrivano dal paese africano risultano sempre drammatiche, questa volta in senso inverso. Il potere è ora in mano all’FPR (fronte patriottico ruandese del generale Kagame) e anche se viene negato più volte si stanno  perpetrando vendette sistematiche sugli Hutu che in milioni stanno scappando con ogni mezzo verso l’Uganda e lo Zaire. E’ un esodo biblico e si parla ormai di tre milioni di Hutu in fuga verso lo Zaire e Goma in particolare (proprio dove è la casa, ufficio di Corrado). L’esercito francese è ai confini con lo Zaire ad aspettare il fiume umano che si riversa poi su Goma creando nella cittadina sul lago Kivu una situazione catastrofica mai vista in una città con centinaia di migliaia di profughi ammassati ovunque in condizione igieniche drammatiche. La mia partenza è fissata per il 31 Luglio ma su un quotidiano del 21 Luglio ancora si parla di situazione pazzesca a Goma dove centinaia di cadaveri sono abbandonati al caldo e alle mosche nelle strade intorno alla cittadina e l’alto commissariato per i rifugiati teme che l’epidemia di colerà dilaghi. Tutti infatti bevono l’acqua del lago ormai   infetta. Quella che si sta consumando alla frontiera tra Ruanda e Zaire è un dramma mai visto e le organizzazioni umanitarie non riescono a stare dietro a ciò che accade. La situazione di malnutrizione e l’estrema debilitazione in cui versano molti dei rifugiati li porta dai primi sintomi di colera (che sembra ormai fuori controllo) alla morte in poche ore e adesso sembra anche che un'altra minaccia possa colpire con i suoi effetti le popolazioni qui presenti. Il vulcano Nyragongo infatti pare sia tornato attivo e nessuno sa cosa ci si possa aspettare ma ora il problema più impellente e cercare di salvare più vite possibili. La data della partenza però arriva ed eccomi su un volo della Sabena per Bruxelles e quindi Entebbe in Uganda. All’uscita mi aspettano Corrado e Deo che sarà la mia guida-driver personale per tutto il viaggio. La nostra destinazione iniziale è Masindi, alle porte del parco Kabalega. Deo, che 2 settimane fa era a Goma racconta di una situazione inenarrabile di morti e devastazione. Rifugiati sono ovunque ed una città giardino ridotta al fantasma di se stessa con il 70-80% di alberi abbattuti  per scaldarsi e cuocere cibo. Camion zeppi di morti che vengono portati alle fosse comuni. Molti cadaveri rimanevano nei campi e dove non era possibile vederli andavamo in decomposizione. Si parla anche del motivo che ha scatenato tanto orrore e come immaginavo anch’io sono ben altri i risvolti da analizzare e considerare primo fra i quali l’instabilità del potere di Mobutu in Zaire paese che poggia su una delle più grande concentrazioni di ricchezze minerarie del pianeta Africa. Ruanda e Burundi infatti sono territori dai quali si può controllare  gran parte di ciò che serve in Zaire (fra cui le miniere di coltan, un minerale che serve all’industria elettronica e che  esiste solo qui). In serata raggiungiamo Masindi dove nel ristorante del lodge prenotato gustiamo la cena a base di tilapia (pesce persico del Nilo). Prestissimo il giorno dopo si riparte per il parco che come tanti altri in Uganda ha subito devastazione di fauna impressionante durante le numerose guerre civili occorse fino al 1984. Ora il potere è nelle mani di Museveni (un Tutsi) che sta facendo uscire il paese dall’isolamento internazionale. Dai tempi dell’indipendenza, prima Obote, quindi il disastroso Idi Amin e poi ancore Obote e Okello hanno pensato più ai loro interessi personali e a quelli delle loro famiglie che alla loro nazione. Le truppe dei ribelli, prima di rifugiarsi nel vicino Sudan abbattevano tutti gli animali che incontravano per sostentarsi, vendere poi le pelli o le carni. E’ da mezzora che siamo entrati nel parco e si vede solo qualche babbuino di tanto in tanto ma in compenso moltissime mosche tse tse. Ce ne sono tante specie in prossimità delle pozze d’acqua. Quando si rallenta per sorpassare qualche grossa pozzanghera entrano dai finestrini aperti attratte dal calore. Le prime volte ci fregano così e allora è lotta a colpi di cappellate etc. Sono estremamente difficili da eliminare. Assomigliano a dei tafani e quando sembra di averli eliminati alcuni di loro si sono semplicemente nascosti da qualche parte in attesa di colpire. Dopo 2 check point arriviamo ad un campo vicino al qualche c’è una piccola imbarcazione con altri turisti che stanno aspettando di partire verso le Murchison falls, il più bel spettacolo naturale sul Nilo (almeno loro dicono). Risaliamo un tratto del Nilo Vittoria fino a raggiungere un punto dal quale si possono vedere le cascate ma più in la non si può andare per vie delle rapide perciò siamo costretti ad ammirarle salendo su dei grossi sassi in prossimità della riva. Secondo me l’attrazione più interessante è invece la presenza nelle acque basse del fiume di numerosi ippopotami e decine di enormi coccodrilli. Non voglio nemmeno pensare a cosa accadrebbe nel caso di avaria della barca. Sono dei rettili semplicemente terrificanti. La cascata la ammiriamo in modo più completo attraverso un altro percorso che ci porta proprio sopra di lei e sarà un bel momento vissuto in un ambiente vergine ed in completa solitudine. Durante il ritorno ci impantaniamo e saremo trainati fuori da un fuoristrada francese non prima di essere punti da qualche mosca tse tse. In alcuni casi possono trasmettere la malattia del sonno che sembra sia incurabile. Di nuovo al lodge e quindi domani ripartenza in direzione Fort Portal e  Kasese per arrivare al lago George da dove entriamo nel Queen Elisabeth park ora Ruwenzori park stabilendoci al Mweya lodge. Ormai è pomeriggio tardi e la possibilità di trovare predatori è alta ma al di la di qualche gazzella, facocero e babbuini non vediamo anche se il panorama naturale sul lago Edoardo ed il canale Kazinga che va a sfociare nel lago Gorge al tramonto si colora di tinte indimenticabili. Il giorno successivo è dedicato alla visita del Ruwenzori park dove alcune piste salgono a volta fino ai bordi di antichi vulcani estinti. Laghi salati ed una bella vegetazione non sono completati da una adeguata vita animali che anche qui come in tutto il paese ha risentito dei precedenti decenni di guerre. Sempre le fastidiose mosche tse tse e finalmente due leoni in lontananza ma ben poche chance avranno con i pochi erbivori presenti. Ce ne vorrebbero almeno 4 o 5. Lasciato il parco ci dirigiamo verso un bel villaggio di pescatori sulle rive del lago George dove gli abitanti vivono in casupole di fango con telai in legno. La vita scorre lenta ed anche gli ippopotami in acqua li vicino sembrano far parte della lenta vita dei pescatori. Nei nostri programmi è l’attraversamento della frontiera zairese a Bunagana ma chiude alle 17.00 e perciò ripieghiamo a Cabale in un hotel dove alloggiano dei caschi blu dell’ONU di nazionalità brasiliana e anche se il mio portoghese risente di mancanza di pratica dopo sette anni dall’ultima esperienza brasiliana parlo un po’ con alcuni di loro. Una breve passeggiata sulla strada principale ricchissima di sartorie che operano con vecchissime Singer e quindi cena e riposo. La giornata di domani ci riserverà ben altre emozioni! Partiamo di buon ora verso Kisoro e la frontiera. Subito dopo sembra di essere in un altro mondo. Ecco già dei rifugiati con bidoni di plastica per l’acqua e un paio di campo profughi. Qui si sente di più il sapore dell’Africa. Molte capanne ai lati della strada e bambini che giocano con nulla. Mobutu tiene lo Zaire in un pugno di ferro mentre sotto la terra di questa grande nazione ci sono tesori immensi in minerali di tutti i generi. La pista che percorriamo è orribile e piena di buche fino a Rutzuru dove bisogna pagare 50 US$ di pedaggio. E’ una tassa che il governatore della zona del Kivu ha messo di sua iniziativa. Tanto chi si lamenta e con chi! I militare e i governanti locali non ricevono lo stipendio regolarmente ma solo quando ci sono i soldi e così loro sfruttano il potere che detengono. Da Rutzuru proseguiamo per Goma, l’epicentro del problema profughi e saranno 50 chilometri di martirio. Il problema profughi è immediato ed esplosivo. Sono in centinaia, migliaia, decine di migliaia che camminano sul ciglio della strada come in una processione penosa. Alcuni sono alla ricerca di legna nei campi, altri di acqua. Tutt’intorno alberi segati. A 1900 metri di altezza senza legna per riscaldarsi in queste condizioni si muore. Descrivere quello che vediamo è  riduttivo a paragone della situazione da far accapponare la pelle. Ci sono tende ovunque, talvolta all’interno della foresta o ai piedi delle colline ai confini col Ruanda. Talvolta i campi profughi si perdono a vista d’occhio in una marea umana che vive senza niente, senza le più elementare norme igieniche a stretto contatto gli uni con gli altri e solo con ciò che si è  riusciti a portarsi dietro dall’inferno da cui sono scappati. Ogni tanto vediamo bus con targa Ruanda, Kigali oppure camionette di Medicine du Monde, Medicine sans frontiere, Unicef. C’è un caos infernale di clacson, gente che sbraita, che discute animatamente, puzza dei tubi di scarico dei mezzi che riescono a proseguire lentamente. Noto che molti usano la mascherina sulla bocca. Ci sono posti dove sono presenti organizzazioni umanitarie e qui i campi profughi sono più vivibili ma in altri più lontani si muore come mosche. Ci fermiamo nei pressi del campo di Kibumba che saprò di sera essere uno dei più pericolosi insieme a quello di Kitale. Mi armo di telecamera e col mio pass di giornalista  vi entro trascinando un incredulo Corrado che dopo un po’ vuole tornare indietro. Mi dirigo dove stanno distribuendo degli aiuti umanitari. C’è un gran trambusto ma la gente è poco interessata a me anche se ho addosso gli occhi di tutti. Centinaia di capanne e tende dell’ Unchr dove un umanità vive come animali. Più salgo più le condizioni igieniche si fanno penose e la gente è più abulica e derelitta. Noto molti gruppi armati di bastoni . Talvolta assisto a delle fughe, a delle rincorse. Alcuni sono armati di machete. Qui ci sono gli aiuti umanitari ed anche delle piccole mafie interne che con la forza li convogliano dove credono dove averli difesi a costo di ammazzare. Bisogna avere fegato per entrare qui, anche con il pass. Con tutto quello che avevo addosso sarei potuto sparire come se nemmeno mai fossi stato iscritto all’albo dei viventi. Esco dal campo con un elicottero che svolazza sulla mia testa mentre dei mezzi blindati americani con jeep transita sulla strada. Corrado è contento di vedermi mentre Deo mi guarda come fossi un ufo. Proseguiamo in un caos totale . Sostiamo poco più avanti. C’è un morto per la strada, un altro li vicino avvolto da una coperta. Poco dopo li vicino un bambino defeca. Non posso fare a meno di notare che ha la diarrea ….. o forse il colera! Non facciamo a tempo a ripartire che Deo mi fa notare una cosa laggiù a 100 metri . Ci fermiamo e solo la raggiungo. All’inizio sembra un ammasso di cadaveri ma ecco vicino due adulti coperti parzialmente dalla calce e là più avanti la sagoma di un bimbo che si stacca da quell’ammasso di vestiti e coperte con arti che escono alla rinfusa di qua e di la . Mi faccio forza e scendo. Sarò l’unico a farlo dato che poi arriveranno dei militari americani e un reporter della CNN. E’ letteralmente un incubo. Ci sono bambini buttati li come spazzatura ed alcuni vicini a donne che creano un quadro ancora più commovente. Sono momenti in cui dentro me è come se le sensazione si fossero azzerate . C’è un bambino con la testa quasi schiacciata e mosche dappertutto. Sono le mosche sarcofaghe! Vorrei tralasciare altri particolari penosi e proseguire col racconto che ora ci vede raggiungere Goma mentre un gigantesco aereo da trasporto sta portando gli aiuti umanitari. Anche qui il problemi profughi esiste anche se molti di loro ormai sono usciti dalla città. Ecco finalmente la casa di Corrado dove ha anche gli uffici e il deposito macchine . Sistemo le mie cose in una stanza e riparto con Deo per vedere i dintorni. Goma sembra una cittadina anonima ma Deo assicura che era una città giardino con moltissimi alberi. Quando la marea umana invase Goma dalla frontiera di Gisenji non esisteva la più pallida  presenza umanitaria e duranti i prima 10-15 giorni qui era l’inferno dantesco con migliaia di morti ovunque, molti in stato di decomposizione. Immaginare la situazioni qui solo 3-4 settimane fa mette i brividi. E’ stata una cosa che va oltre l’immaginabile. Lungo la strada adiacente al lago ci sono molti militari hutu odiati dai locali soldati zairesi. Per loro sono soltanto dei codardi che non sono rimasti a lottare per il loro paese. Ritornando passiamo da un ospedale da campo israeliano ma per i giornalisti dicono che è possibile entrare solo di mattina. Di sera a casa di Corrado si parla delle sporche responsabilità di questa guerra insieme a due suoi collaboratori in affari. Mi astengo da questo argomento anche se potete immaginari quanto potenze straniere abbiano a cuore mettere le mani sullo Zaire del prossimo dopo Mobutu. In Ruanda intanto il capo dell’FPR Kagame (Tutsi) ha preso il potere e per dimostrare buona volontà nel riappacificare il paese ha messo a capo di stato un Hutu. Per l’indomani intanto Corrado mi ha organizzato la visita ai gorilla e sarò solo. Questa è cosa fantastica dato che per incontrare i gorilla si organizzano sempre gruppetti di turisti che inevitabilmente si calpestano i piedi l’un l’altro. L’occasione che avrò io è assolutamente straordinaria come la chance che forse avrò di visitare primo al mondo dopo un alto funzionario del WWF un’altra famiglia di gorilla mai avvicinata da gruppi di turisti. La partenza è alle 7.00. Io e Deo ci dirigiamo prima verso l’ospedale da campo israeliano. Sono una serie di grandi tende di cui una interamente dedicata ai bambini. Sono malati di colera, dissenteria bacillare o semplicemente di stenti. Filmo l’interno e vengo colpito da lamenti che provengono da un cartone. Dentro, mi dice un medico di Haifa c’è un neonato di appena due settimane. L’atmosfera che regna è straziante e i pazienti hanno semplicemente un numero sul petto per l’identificazione. Ripartiamo in direzione di Goma dove prendiamo accordi con uno dei due collaboratori di Corrado per organizzare l’intervista alla sorella del defunto presidente Hutu. Nessun giornalista al mondo lo ha mai fatto per ora e Davide(questo è il suo nome) è molto contento di poter contribuire in qualche modo alla causa Hutu. Fuori Goma verso Rutzuru ora la situazione mi pare ancora più impressionante di ieri. I campi profughi sono un insieme di capanne immerse nel putridume. Entrerò 3 o 4 volte in questi luoghi di martirio lasciandoci il cuore per tanta sofferenza che ho visto. Ci sono ora tre morti sul ciglio della strada ed uno di loro è in avanzato stato di decomposizione. Dei cagnotti gli escono dalla bocca e dalle narici. Impressionante! La gente si lava nelle pozzanghere infette e poi girano la frugale minestra nella pentola con quelle mani (l’ho visto fare più volte). Lo stato di indigenza è allucinante e il lezzo della sporcizia, delle feci è vomitevole. E’ pazzesco solo pensare di trascorrere un solo giorno qui dentro. C’è un vecchio che picchiandosi le mani sul ventre mi vuole dire che ha fame ma non riesce a enunciare nemmeno una sillaba dallo stento e io con me avrei da dargli da mangiare per un mese a lui e a una cinquantina di altre persone. E’ penoso e rivoltante tutto questo.  C’è molta gente che non avendo acqua cuoce il cibo con l’acqua delle pozzanghere piene di ogni sorta di germi e molti bevono l’acqua dove poco prima sguazzavano alcuni bufali. I campi e le capanne sono tutte su un lato della strada mentre dall’altra c’è solo la devastazione della foresta distrutta, segata, devastata ed usata come gabinetto all’aria aperta da molti di loro. Ad un tratto svoltiamo a destra inerpicandoci con la jeep lungo un accidentata pista fino ad un punto in cui Deo assolda alcuni portatori che trasporteranno le nostre cose fino al rifugio di Bukima. Mi sembra di essere un esploratore e ho su di me gli occhi di tutti. Arrivati allo chalet avvertiamo anche qui in parte il problema profughi. Molti hanno attraversato la foresta dei gorilla dal Ruanda per raggiungere lo Zaire. Il responsabile del posto vuole vedere le immagini dalla telecamera e rimane sconvolto dalla crudezza della situazione. La mia testa è piena di pensieri sul da farsi ma intanto vediamo domani come andrà la visita a Ndungutse (il silver back dominante) e la sua famiglia. Avvicinare i gorilla non è affatto facile dato che si spostano continuamente e il compito dei rangers è quello di visitarli quotidianamente per monitorare la loro posizione e consentire il giorno dopo di avere più chance di vederli. Alle 6.30 del mattino si parte alla ricerca di questi primati fino a pochi anni fa a serio rischio di estinzione. Fu la famosa studiosa americana Diana Fossey che per prima li studiò ponendo le basi per una loro migliore difesa. Costeggiamo per 20 minuti la foresta incontrando alcuni Hutu dubbiosi se attraversarla e rientrare in Ruanda oppure nò. Le notizie che provengono dal loro paese parlano di raccapriccianti vendette dei Tutsi. Per loro il futuro è una paurosa incognita. Si entra nella foresta. Davanti c’è il battitore che fa breccia nella vegetazione spesso alta e poi Agustin, la mia guida locale, armato di fucile per la mia sicurezza. Il sentiero si inerpica diventando molto difficile ed è ormai un ora che si cammina. La vegetazione talvolta è così fitta che si deve spezzare rami per proseguire. Stiamo seguendo le tracce della famiglia di Ndungutse che come le altre possono spostarsi di giorno in giorno anche di chilometri. Trovano un posto, costruiscono il giaciglio e il giorno dopo se ne vanno altrove. Meno male che ho portato con me dei guanti da giardiniere perché mi sarei ferito più volte con i rami spinosi. Sono passate ormai 2 ore e mezzo ed ora si fa davvero dura ai margini della montagna. Di fronte il vulcano Mikeno (4.000 metri) e a sinistra il Karisimbi (ai confini tra Zaire e Ruanda). Dopo un tratto di fogliame ecco Salamah il secondo silver back(schiena d’argento). Fa un gesto di insofferenza prima di sparire fra la vegetazione. La sua mole era impressionante. Proseguiamo ed eccoli ora più numerosi.Ci sono due piccoli che mangiano foglie su un albero.  Si sentono rumori tutt’intorno. Mi pare di vivere un sogno ma è vera realtà. Sono da solo in un luogo che è favola in mezzo agli animali forse più affascinanti del pianeta. Sono bellissimi nel loro ambiente e spontanei nei loro gesti. Ecco Ndungutse il capo indiscusso proprio di fronte a me. L’emozione mi esplode dentro. Vicino a me c’è un piccola che quasi mi struscia. Più a destra una femmina con suo figlio, lo sguardo serio, austero. Di solito ai turisti è concessa un ora in cui mi immagino che parapiglia per fotografare, filmare. Io starò con loro trè ore da solo in un atmosfera che emana magia da tutti i suoi angoli. Sono stato davvero fortunato!.Li ammiro mentre  tengano i rametti di ortica in mano e se li fanno passare tra i denti sfilandone le foglie di cui sono ghiotte come i germogli di bambù ma ora Ndungutse si è alzato con il suo sguardo malinconico e sta avvicinandosi a me passandomi vicinissimo per poi fermarsi una decina di metri più in là. Incredibilmente decido di seguirlo e Agustin mi avverte di muovermi con cautela e molta calma. Si deve mantenere sempre lo sguardo basso e non guardarli mai dritti negli occhi. Si rischia una carica che quasi mai è pericolosa ma vedersi una montagna di muscoli che viene contro battendo i pugni sul petto potrebbe creare un leggero scompiglio emozionale. Mi acquatto a circa tre metri da lui e sono consapevole di vivere una esperienza unica. Dopo qualche minuto durante il quale sceglie delle foglie si alza scomparendo nella foresta. Credo che durante questi minuti abbia provato delle emozioni così forti e soavi nello stesso tempo che penso siano le stesse che si possano provare in Paradiso se esiste. Dopo altri incontri estremamente ravvicinati con piccoli così teneri da baciare prendiamo la strada del ritorno dalla direttissima giù per il costone della montagna raggiungendo Bukima affamati e assetati. E’ stata dura, molto dura ma sono così soddisfatto dell’esperienza fatta che decido di dedicare i prossimi giorni ad esperienze di altro tipo anche se potrei domani tentare di visitare primo turista al mondo una nuova famiglia a distanza molto più impegnativa di oggi. Jeep e ritorno a Goma da Corrado che ha appena concluso un affare con Medicine sans frontiere affittando i suoi locali ed uffici per un lungo periodo di tempo a questa organizzazione umanitaria francese. Il giorno seguente lo dedicherò alla visita del parco nazionale del Rwindi creato nel 1925 e per arrivare al quale bisogna ripercorrere i 70 chilometri d’inferno della strada dei profughi. Di mattina presto, la nebbia non fitta me ben presente si mischia al fumo dei fuochi accesi da questi disperati per riscaldarsi dalla fredda notte e la scena è veramente quella dell’apocalisse. Qua e la una decina di morti coperti da stuoie ed una camionetta di locali che con le mascherine sulla bocca li raccoglie gettandoli sul mezzo per portarli alle fosse comuni. Se Dio esiste qui si è girato da un’altra parte! Raggiunto il Rwindi con i suoi bungalows tutti rigorosamente vuoti data la situazione si decide di lasciare le nostre cose e  ripartire subito per i monti Mitumba per ammirare i villaggi sulle montagne (al parco andremo nel pomeriggio con un ranger che ora non c’è). Il più bello di tutti sarà Kayna Bayonga con centinaia di capanne sparse ovunque in un’ atmosfera unica. Sono fortunato perché giù in basso si sta effettuando la cerimonia del battesimo  di alcuni giovanissimi che entrano completamente in specie di pozze e quando vi escono un sacerdote asciuga loro il capo per poi farli camminare fra la folla ormai battezzati. Dopo una altrettanto interessante visita al mercato facciamo ritorno al parco dove con la jeep del ranger usciamo subito dalle piste segnate per raggiungere una grande pozza con tantissimi ippopotami e  ibis neri sulle rive. In seguito ammirerò alcuni waterbuck e molte gazzelle di Thompson . Ecco dei bei damaliscus, mai visti finora e infine la ricerca ai leoni viene premiata ed il ranger li scopre in buon numero in una radura della savana. Piano piano ci avviciniamo fino a fermarci proprio di fronte a loro. Sono qui a 2-3-4 metri di distanza . Ci guardano, alcuni si sdraiano, sbadigliano. Le femmine accudiscono i piccoli. E’ un quadro di una selvaggia bellezza che toglie il respiro. Nel frattempo si viene a sapere che nel villaggio di pescatori di Vitsumbi sul vicino lago Edoardo dei leoni hanno sbranato una donna in bicicletta. Ora questi leoni attaccheranno ancora perché verificato quanto sia più facile puntare sull’uomo invece che su improbabili successi su gazzelle o altro ritenteranno ancora sulla facile preda a due zampe quindi dovranno essere eliminati. Ogni anno al Rwindi ad esempio due o tre persone ci lasciano la pelle a causa di leoni od ippopotami (in assoluto i più pericolosi per l’uomo). Ritorniamo al bungalows da dove chiamiamo Corrado per conoscere la situazione riguarda alla possibile intervista alla sorella del presidente Hutu che però dice non si riesce a trovare. Sarà però possibile in compenso farne un'altra con un paio di ministri anch’essi rifugiati a Goma e il capo di stato maggiore Hutu in esilio. Gli chiedo di affrettare i tempi dato che devo sapere come organizzare il poco tempo rimastomi e perciò ci diamo appuntamento telefonico domattina alle 11.00. Io vorrei approfittare per visitare i Pigmei dell’Ituri a Beni e per questo mi è rimasta la sola giornata di domani. La mattina successiva avrebbe dovuto concedermi un affascinante walking safari ma Deo mi raggiunge in camera dicendo che non si può più fare dato che il ranger è impegnato a catturare dei leoni per lo zoo di Kinshasa. Gli chiedo se posso aggregarmi a loro ma anche questo più tardi mi viene negato. Peccato così optiamo per la visita al villaggio di Vitsumbi sul lago Edoardo dove degli elefanti (forse troppo infastiditi da noi) quasi ci caricano e Deo a momenti se la fa addosso dalla paura mentre spinge il gas della nostra jeep. Erano due maschi assolutamente giganteschi!. Visita del luogo in mezzo ai pescatori affaccendati a rattoppare le loro reti e poi via di nuovo al Rwindi per chiamare Corrado ma il nostro contatto (Davide) non si è ancora sentito e forse darà notizie alle 15.00. Gli dico di lasciare perdere perché altrimenti mi giocherei la visita ai Pigmei. Dopo aver acquistato da un locale della benzina attraversiamo tutta la catena dei monti Mitumba ricca di coltivazioni a terrazze . Siamo nella zona dei Banani e qui vedono raramente dei turisti e quindi uomini bianchi  perciò trova terreno fertile la credenza fatta bere ai piccoli che i bianchi siano cattivi e mangiatrici di bambini. Ecco spiegato il motivo per cui ad un tratto un bimbo che avrà avuto 8-10 anni con delle fascine sulla testa che stava camminando sul ciglio della strada  mi vede sulla jeep che sta incrociandolo e si tuffa letteralmente nella vegetazione scomparendo nel fogliame. Deo si fermerà poco dopo contorcendosi dalle risate ma al ragazzino sarà venuto forse un infarto. Alle 20.30 raggiungiamo Beni e poi cena a base di pollo e patatine accompagnati con una birra zairese Primis. La mattina seguente partenza verso la zona dell’Ituri che nel momento in cui sto scrivendo queste memorie (2004) tratte dal mio libro di viaggio di allora sta soffrendo di una situazione assolutamente catastrofica di terra senza pace, legge e con anarchia assoluta. Milizie varie, bande e parte di eserciti regolari appartenenti a Uganda,  Zaire e mercenari pagati da multinazionali vogliono mettere le mani sulle immense ricchezze minerarie della zona. Già mi immagino che vivrò una esperienza non troppo autentica quasi sconfinante in quella che io chiamo “turistata” ma già che ci sono voglio avvicinarmi a questa caratteristica etnia di piccolissimi Bantù. Viaggiamo verso nord attraversando due posti di blocco. Con delle scuse ci chiedono dei soldi. Se non glie li diamo potrebbero anche non farci passare ma Deo si inventa che sono il capo dei giornalisti italiani così si inchinano e ci lasciano passare. Dopo circa un ora raggiungiamo una missione dove lasciamo il mezzo e iniziamo un minitrekking che ci porterà ad avvicinare questa etnia.  Dopo un oretta ecco il primo villaggio. Sono tutti piccolissimi (intorno al metro e mezzo) e le capanne in cui vivono sono costruite con sola vegetazione senza alcun telaio in legno. Certo per ammirare i veri Pigmei bisognerebbe spingersi nella pericolosa foresta dell’Ituri per giorni ma come faccio, ormai non ho più tempo. Nel frattempo, con un modico compenso Deo riesce a convincerli a rappresentare qualche passo delle loro danze tradizionali ma il viaggio sento che è ormai finito e mi ha regalato delle esperienze incalcolabile perciò mi sento quasi a disagio in mezzo a questi omini che ormai ben poco hanno conservato delle loro tradizioni originali dato che la vicinanza con i villaggi stanziali e la missione li ha diciamo ormai snaturati. Ritorniamo a Beni dove ci aspetta Corrado che nel frattempo è atterrato con un piccolo Cessna. Mi dice che il suo amico, il conservatore del parco Virunga gli ha riferito di alcune scene incredibili a cui ha assistito mentre accompagnava in elicottero il capo delle forze armate francesi sopra il campo di Kibumba nei pressi di Goma.  Cadaveri di Hutu all’interno dei quali i topi avevano prodotto come dei tunnel da cui entravano ed uscivano. Questo non è un esempio gratuito per scioccare ulteriormente ma solo un ulteriore occasione per aprire gli occhi su cosa possa significare nella sua cruda realtà una situazione tipo quella che sta vivendo la zona dei grandi Laghi in Zaire. Con Corrado raggiungiamo la casa di un Belga che vive con tre mogli nelle vicinanze del monte Ruwenzori sul quale organizza escursioni di semplice trekking o alpinismo. Suo padre era un colonizzatore  e lui ama questa terra dalla quale non se vorrebbe mai staccare. Questa montagna è mitica perché ricca di una vegetazione particolare che in molti aspetti assomiglia a quella altrettanto unica dei Tepuy venezuelani. L’ accoglienza di cui ci riempie è commovente e sarà una serata speciale in un ambiento meraviglioso arricchita da una cena a base di capretto e vino rosso per finire con drink a base di ananas col sottofondo suadente delle canzoni di Natali Cole. E’ sicuramente un luogo fuori dal tempo, un angolo di paradiso che questo “colonizzatore” si è costruito con al suo servizio mogli e servitori. La mattina seguente di buon ora si parte dopo aver ringraziato Patrick della sua ospitalità in direzione della frontiera zairese dove Corrado darà prova ulteriore della sua abile arte diplomatica riuscendo a non farsi “spillare” indebitamente denaro dai locali doganieri. Non riusciremo a raggiungere Entebbe per la sera così decidiamo di trascorrere la notte in un anonimo alberghetto sulla strada a pochi chilometri dal lago Vittoria. Proseguire al calar del sole in questi paesi potrebbe significare correre rischi inutili che possono sfociare persino a perdere la vita per colpa di banditi armati che di notte taglieggiano e spadroneggiano. Il viaggio è terminato e la mattina seguente arriviamo a Kampala, la capitale ugandese, come Roma costruita su sette colli. Solo su uno però vale la pena trascorrere un oretta a passeggiare perché trattasi di luogo assolutamente anonimo. Passiamo dallo Sheraton hotel per la riconferma del mio volo di domattina e quindi via verso Jinja sul lago Vittoria. Perché bisognerebbe venire fin qui direte voi. E’ pesto detto. Sarebbero situate in questo punto infatti le famose sorgenti del Nilo e un monumento nei pressi della sua riva ne fa menzione. Overnight al Victoria lake hotel di Entebbe per poi imbarcarmi sul volo che mi riporterà in Italia. Dovrei spendere un milione di parole per descrivere quanto questo viaggio mi abbia arricchito ed emozionato ma preferisco dire solo una cosa a chiunque sia che lassù in alto ha consentito che si potesse realizzare. Grazie!

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