2012  WESTERN AUSTRALIA

Dove la Natura parla all’anima

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Dune di sabbia verso Cervantes

 

Un viaggio nel Western Australia non è un semplice viaggio, ma una vera avventura. Questo è lo stato più selvaggio, incontaminato dell’intero continente australiano. Qui si può entrare in contatto con l’Australia più autentica, quella degli spazi sconfinati, dei panorami infiniti e dei tramonti indimenticabili. E’ stato un itinerario molto impegnativo che ha richiesto una programmazione meticolosa prima della partenza e una disciplina rigorosa sul luogo, per poter realizzare nei soli 11 giorni che avevo a disposizione un percorso strabiliante, che mi ha portato a contatto con molteplici realtà di questo immenso paese. Ho visitato parchi nazionali dove la natura urlava tutta la sua forza, fra canyon maestosi e scogliere deformate dall’immane impatto con gli oceani, ammirato particolarità uniche come gli stromatoliti di Hamelin pool e i pinnacoli del Nambung national park, la più ricca zona aurifera del continente culminante nel Superpit di Kalgoorlie e, fra tutte queste esperienze, decine di bagni in spiagge meravigliose. Parto dall’aeroporto di Linate, destinazione Roma Fiumicino, da dove parte in mattinata il volo della Malaysia airlines che, dopo 11 ore, atterra nel bellissimo aeroporto di Kuala Lumpur. Alle 9.45 riparto per altre cinque ore di volo fino ad atterrare a Perth, capitale del Western Australia. Nessun problema al bagaglio e al banco Europcar, dove ritiro una Hyundai Getz con la quale parto immediatamente in direzione del centro cittadino. Il tempo, per fortuna, è poco nuvoloso. Questo è sempre un incognita durante i viaggi. Spero solo che il programma che mi sono prefissato non possa essere messo in pericolo da un meteo contrario. Si viaggia a sinistra in Australia, ma dopo una decina di minuti, riesco a governare l’auto senza particolari problemi. Raggiunto il centro, mi sembra semplice uscire dalla città verso nord, ma le freeways non hanno segnalazioni di una località che riconosco, perciò sbaglierò un paio di volte la strada ma, alla fine riesco ad immettermi sulla West Coast Drive. Sulle spiagge ventose decine di surfer si divertono fra le onde, molti fanno jogging in riva al mare. Più mi allontano dalla città, più le case di diradano, finché decido di lasciare momentaneamente la costa e prendere la Brand Hwy. Sono stanco morto e non ho voglia di cominciare le visite proprio oggi. Da domani partirà il vero viaggio, ora ho solo desidero di raggiungere la destinazione che avevo previsto, Lancelin, a circa 130 km da Perth, perciò evito di fermarmi al Yanchep N.P. e tiro dritto. Arrivo a destinazione che già il sole sta avviandosi al tramonto. Al caravan park dove vorrei mettere la tenda non riesco a trovare il gestore, perciò sono costretto ad accettare un posto in camera dormitorio al Backpakers hotel. Una pizza all’unico locale ancora aperto di questa ventosa cittadina dove gli amanti di sport acquatici di mezzo mondo vengono a divertirsi e quindi mi ritiro nel mio giaciglio. L’indomani parto prestissimo, alle 5.20, verso nord, guidando in mezzo ad una natura cespugliosa, il classico bush australiano e avendo i miei primi contatti con l’animale più tipico di questo stato continente, il canguro. Ne vedrò a decine, spesso mi fermerò ammirandoli da molto vicino. Il cielo è sereno, gli enormi banchi sabbia che talvolta compaiono alla mia destra sono una tentazione e così mi fermo e salgo in cima ad uno di loro. Proseguo in un astensione pressoché totale di rumore che non siano quelli della natura, pochissime auto, nessun villaggio, cittadine, preparandomi a quella straordinaria esperienza interiore che mi riserverà l’Australia nell’outback vero, nei giorni seguenti. Eccomi giunto al primo, famosissimo sito del mio programma, il deserto dei pinnacoli, poco prima di giungere alla cittadina di Cervantes, all’interno del Nambung N.P. Si deve pagare per visitarlo(11 A$) e la cosa curiosa è che non c’è nessuno a riscuotere la somma. Si deve compilare dei moduli che si trovano all’ingresso, mettere il denaro in una busta all’interno di un contenitore e apporre la ricevuta sul cruscotto. Il Pinnacles desert è un luogo dall’atmosfera surreale in cui centinaia di colonne  calcaree spuntano  dal terreno desertico creando un paesaggio lunare. La sabbia calcarea del deserto proviene dalle conchiglie che sono state compattate dalla pioggia nel corso dei millenni e poi erose formando questa distesa di pinnacoli  incredibili. Si percorre un circuito ad anello coperto di ghiaia che consente di ammirare questo luogo magico. Sono solo le sette del mattino, solo un'altra auto in tutto il tempo che ci resterò. Comincia così la mia avventura solitaria in questa terra fantastica e il mio spirito comincia già ad urlare tutta la sua gioia. Cammino fra queste incredibili creazioni della natura nella pace più celestiale. Quando uscirò da questo anello, una coppia di canguri, madre e piccolo, mi delizierà per quasi dieci minuti della sua vista a circa 3 metri da loro, incredibile! Raggiunta Cervantes, faccio benzina. E’ meglio fare il pieno ogni volta che sia possibile, perché in questo paese si può rischiare di non trovare un'altra stazione per centinaia di chilometri. Ritrovarsi senza carburante nel bush e sotto il sole è un esperienza che è meglio non concedersi. A nord del porticciolo faccio il primo bagno, acqua cristallina ed una nuotata da favola, sempre con un occhio allo zaino che contiene tutta la mia vita. Faccio un giro in auto della località, nessun palazzo, tutte ville, molte con spazio barca e box per contenere i loro fuoristrada. Nel Western Australia, praticamente tre abitanti su quattro possiedono questo tipo di mezzo, indubbiamente ideale per muoversi anche fuori dalle arterie asfaltate, ma che denotano un tenore di vita davvero medio alto. Continuo verso nord entrando nel Jurien bay marine park, dove mi concedo un altro bagno in una cornice davvero bellissima.  Più avanti, dopo 4 km di strada sterrata in direzione della costa, giungo allo straordinario Sandy point, una spiaggia di due chilometri con, nella punta sud ma anche all’interno, delle fantastiche dune di sabbia. Ci sono dei fuoristrada, ma riuscirò a ritagliare un mio spazio solitario dove fare un bagno da delirio circondato da un anfiteatro di sabbia bianchissima. Proseguo quindi fino a Green Head dove mi concedo un altro bagno alla spiaggia di Breakbeat, nella Dinamite bay. Dopo un successivo tratto un po’ noioso di bush, giungo alla cittadina di Dongara sulla Batavia coast, zona prediletta dai surfisti e dai kitesurfers. Arrivo alla città di Geraldton poco prima delle 18.00. Sistemate le mie cose al Geraldton hotel, farò poi un giro della cittadina, cominciando dalla bella cattedrale di S.Francisco Xavier, per poi proseguire la visita sul lungomare. Vorrei trovare un ristorante dove gustare qualche specialità locale ma, alla fine, opterò ancora per una pizza. Il costo dei ristoranti è  troppo alto e non vale la pena spendere così per dei piatti che, in fondo, non sono all’altezza delle aspettative. Anche domani partirò molto presto, alle 5.30, lungo la Brand fino a Gregory, circondato da fattorie immense e coltivazioni di grano. Una coppia di canguri è sulla strada, rallento, loro mi guardano e poi pian piano si spostano sul ciglio. Fermo e li ammiro per qualche minuto. Il pericolo più grosso che bisogna affrontare, è appunto l’attraversamento di canguri, dingo, emù e wallaby. Durante il mio soggiorno noterò, morti sulla strada o trascinati poi sul cigno, decine di loro investiti dalle auto. Il limite è di 110 km/h ma io m’imporrò sempre di non superare che in rari casi i 90 km/h. In caso di incidente con un canguro potrei uscire di strada o rovinare l’auto e sarebbe molto pericoloso. Meglio un andatura più moderata e prestare la massima attenzione intorno a sé. Sarà una tensione continua per tutti i 6.000 chilometri che percorrerò, ma indispensabile per non compromettere tutto il viaggio e la propria vita. Eccomi ora all’ingresso del Kalbarri N.P. prima della cittadina omonima. Ci sono molte indicazioni che portano sulla costa ad ammirare le spettacolari scogliere a strapiombo sul mare, come il sito di Grand Zone, Island rock, lo strepitoso Natural Bridge, e poi ancora Eagle gorge con spiaggia sottostante, circondata da formazioni rocciose stupende e poi Pot Alley. Più avanti, attraverso un sentiero, giungo a Mushroom  rocks, dove mi trovo da solo, sulla costa in mezzo a rocce ciclopiche gettate in ordine sparso da Madre Natura. Poco rassicurante qui il mare, che se decide di arrabbiarsi può entrare ben oltre il punto dove mi trovo ora. Nei pressi di Kalbarri è il Red Bluff dove c’è una passerella dalla quale si può ammirare la bellissima costa dove nel 1712 naufragò il vascello olandese Zuytodorp e la spiaggia della cittadina dove poi mi concederò un rinfrescante bagno, nella Chinamans beach. Lasciatomi alle spalle la cittadina entro nuovamente nel parco, questa volta nel lato dal quale si possono godere degli scorci impressionanti sulle gole provocate dal Murchison river. Dopo 25 km di sterrato, durante i quali farò ancora incontri con canguri, giungo ad un lookout grandioso sul fiume. Proseguendo arrivo ad un punto dal quale parte un altro sentiero che, in mezzora andata e ritorno, porta al famoso Natural Window dal quale si ammira una vista straordinaria sulle gole incorniciate da una natura sterminata e selvaggia. Dall’altro lato del parco giungo poi allo Z bend, un punto in cui il Murchison svolta a gomito e quindi, ancora più avanti allo Hawk Head. Questo parco mi ha regalato delle emozioni davvero intense, ma ora è giunto il momento di ripartire. La strada che devo percorrere è molta. Guadagno nuovamente la Brand Hwy e salgo ancora verso nord, giungendo dopo 200 km all’Overlander roadhouse senza incontrare la benché minima ombra di abitazione. Solo qui, in questa stazione di servizio che funge anche da luogo di ristoro, potrò fare benzina prima di ripartire, questa volta verso ovest e la costa, entrando nella Shark bay, dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità. E’ una baia spettacolare che si estende per oltre 1.500 km di costa abbracciando due penisole frastagliate e numerose isole. E’ mia intenzione fare overnight a Hamelin Pool dove dovrebbe esserci un caravan park. Pianterò la mia tenda proprio lì. Il sole è ancora presente nel cielo e mi consente di andare a piedi ad ammirare una riserva marina che vanta la più numerosa colonia di stromatoliti del mondo. Sono formazioni di colore marrone che sembrano roccia, in realtà sono organismi viventi identici a quelli che esistevano tre miliardi di anni fa, quando erano l’unica forma di vita sulla Terra. Consumando anidride carbonica e rilasciando ossigeno contribuirono in gran parte alla formazione dell’atmosfera creando le condizioni favorevoli alla nascita di altre forme di vita. C’è una passerella che consente di ammirali da vicino. Nei pressi una cava di conchiglie con cui producono dei mattoni incredibili fatti appunto con minuscole conchiglie. Doccia e un buon piatto di fish and chips al locale del campeggio, dove per altro sono quasi da solo, e poi mi ritiro a dormire, se non fosse che, una volta all’interno della tenda, m’accorgo che in fondo è sbrecciata. Non ho proprio voglia di addormentarmi col rischio che qualcuno di quei ragni tipo il tunnel web o il red back o il white tail o l’huntsman mi entri dentro, perciò mi devo accontentare di dormire in auto. Pazienza, ma sarà un esperienza che ripeterò. Spesso le distanze sono così grandi che è meglio dormire in auto in qualche area di sosta piuttosto che fare altri cento chilometri per raggiungere qualche località dove poi, magari, non si trova neppure un posto dove alloggiare. Di mattina sono letteralmente rintronato, la notte non è stata riposante e alle 5.00 sono già in piedi. Devo percorrere un bel po’ di strada prima di raggiungere il sito di Monkey Mia, reso celebre in tutto il mondo per il fenomeno dei delfini che ogni giorni arrivano puntuali per ricevere il cibo nelle acque basse dalle mani dei turisti, sotto controllo di alcuni istruttori. Giungo un po’ prima delle 7.45, ora in cui si può assistere allo spettacolo, in modo da fare colazione. Non capisco come si possa provare emozione ad assistere a questa turistata ignobile. Due delfini si avvicinano a riva e due addetti spiegano cose che li riguardano, si riesce perfino ad ammirarli da vicinissimo ma l’emozione è pressoché nulla. Altra cosa quando nel nordest brasiliano, a Pipa nuotai in completa libertà persino vicino ad alcuni di loro. Assolto questo dovere cammino sulla spiaggia fino a Paradise beach, dove gabbiani stanno comodi su alcune lingue di sabbia. Il mare cristallino, la pace, le acque basse fanno di questo luogo un angolo davvero di paradiso. Riparto tornando a Denham, la cittadina principale della Shark bay ma, poco prima, mi concedo una deviazione alla Little lagoon, un cerchio di acqua limpida creato da un piccolo creek collegato all’oceano. Anche qui sono da solo in una pace assoluta e con un cielo tanto sereno che pare imbarazzante. Nel ripartire, sulla scenic drive che mi porta a Denham, dove farò benzina, scorgo due emù che ho il tempo di ammirare da vicino. Proseguendo, giungo a Eagle bluff un sito davvero strepitoso. C’è una passerella molto lunga che costeggia dall’alto la scogliera sottostante dove, nelle acque basse affrescate di colori sbalorditivi, si scorgono decine di lemon sharks venuti qui per nutrirsi. Il colpo d’occhio è talmente bello da far tremare le gambe dall’emozione. Di fronte, alcune isole dimora di uccelli marini e ricchissime di guano. Nel 1800 era un fertilizzante molto richiesto e valeva come l’oro. Giungevano qui persino dall’Europa per raccoglierlo. Questo è anche uno dei luoghi più ricchi al mondo di alghe marine, sono uno dei terreni più produttivi per la riproduzione perché forniscono un vivaio prezioso per pesci e crostacei. Più avanti raggiungo Goulet bluff dove ammiro estasiato una costa bianca e cespugliosa. Ecco finalmente Shell beach, celeberrima spiaggia lunga forse tre chilometri e dove scorgo solo altre tre persone. Mi concedo un bagno ristoratore e poi prendo un po’ di sole adagiato su triliardi di minuscole conchiglie, mai vista una spiaggia simile. Ripartendo, voglio completare la mia vista a Shark bay, andando a Nanga bay, ma la spiaggia non è un granché così riparto raggiungendo il bivio con la Brand Hwy che percorro direzione nord verso Carnarvon, situato alla foce del Gascoyne river dopo altri 200 chilometri. Overnight al Carnarvon, pizza, doccia e una bella dormita, dato che domattina devo partire ancora presto. Alle 5.00 via, per altri 230 km fino al bivio per Coral bay. Un dingo mi attraversa la strada senza arrecami alcun problema. Già da ieri sto percorrendo strade che hanno molti cartelli indicanti che, durante le piogge, possono allagarsi e anche di parecchio. Non vorrei mai provare questa esperienza dato che possono andare sotto anche di più di un metro. Si cominciano a vedere enormi termitai dalle forme più svariate. Giunto a Coral bay non posso che ammirare questa piccola comunità di mare annidata in una baia pittoresca ai margini meridionale del Ningaloo N.P.  Parcheggiato l’auto mi dirigo subito alla spiaggia, la straordinaria Main beach, un anfiteatro di sabbia bianca abbacinante. Raggiungo il margine sud dove entro in mare con maschera e boccaglio con la speranza di ammirare la fauna marina. Qui la barriera corallina è molto vicina e consente una esplorazione molto facile. Se non avessi il problema dello zaino mi spingerei al largo, certo di scoprire un mondo sottomarino più interessante, purtroppo sono impossibilitato e perciò devo accontentarmi dei soliti pesci corallini conosciuti, a qualche decina di metri. Deliziato da questa sosta da favola chiedo informazioni per lo shark sanctuary che speravo di raggiungere in auto, invece ci si arriva a piedi attraverso la spiaggia a nord. Cammino per venti minuti a bordo riva fino a giungere a quello che definirei un panorama mozzafiato. Di fronte a me una baia sabbiosa e bassa in una cornice di costa a dune di sabbia. Se non fosse già di per se questo colpo d’occhio degno di commozione, ci si mette anche la presenza di una decina di lemon sharks che nuotano nelle acque. Io entro parzialmente in acqua cercando di avvicinarmi un po’ anche se i cartelli lo sconsigliano e riesco a fotografarne alcuni. Il luogo è davvero unico, incantevole, con la presenza anche di alcune razze che sfrecciano sul fondo. Resterò qui a sognare per un quarto d’ora per poi riprendere la strada del ritorno. Una puntata al supermercato del paese e poi riparto nuovamente verso nord per altri 150 km fino a Exmouth, un piccolo centro sul mare, punto di partenza per esplorare il Cape range N.P e il Ningaloo Marine P. Trovo subito un alloggio all’Escape backpakers e quindi riparto incontrando più avanti una famiglia di emù. Raggiunto il punto più nord, il North west cape, ridiscendo costeggiando lo straordinario Ningaloo M.P. che abbraccia oltre 250 km di fascia litoranea. La barriera corallina è facile da raggiungere(100 metri dalla costa) e vanta una fauna marina eccezionale come squali, mante e megattere in alcuni periodi dell’anno. Ciò che rende Ningaloo davvero speciale  è il suo corallo(circa 220 specie) e gli squali balena che da maggio a giugno passano da qui. Incomincio la visita della costa dalla Mangroove bay, un po’ ventosa ma bella e solitaria dove faccio un altro bagno e poi la T-Bone bay con un colpo d’occhio bellissimo, ma con la presenza di rocce. Il piacere marino acuto lo avrò nella stupenda Turquoise bay dove resterò per mezzora concedendomi un po’ di riposo e anche dello snorkelling. Proseguo verso sud sino al termine della strada, al Yardie creek dove percorro un sentiero che mi porta ad un bel view point sul fiume e dove farò un incontro molto ravvicinato con due rock wallaby che osserverò per una decina di minuti seguendoli nel bush. Riprendo la via del ritorno con l’intenzione di completare la visita della zona con le spiagge restanti, ben segnalate con cartelli indicatori sulla strada asfaltata. Dopo un paio di deviazione dove gratifico più gli occhi per i bei panorami che non il corpo, scopro la Sandy beach, altra spiaggia da favola dove faro un bagno superbo nella solitudine più completa. E’ ora di tornare, devo fare la benzina a Exmouth in tempo, per non rischiare che mi chiuda la stazione di servizio. Sempre a velocità moderata, stando all’erta che non sbuchi un canguro dal bush. Cosa che succede, per fortuna quando sto andando a 80 km/h. Mi esce all’improvviso dalla destra e attraversa come un fulmine la strada. Solo la moderata velocità e il mio tempestivo scarto a destra con relativa frenata mi consente di evitare di centrarlo con la parte sinistra del cofano. Resto paralizzato al volante per un po’ immaginando cosa sarebbe successo se fossi andato a 110 km/h e centrandolo in pieno. Poco più avanti un'altra esperienza, questa che ha dell’incredibile. Un enorme uccello ha preso la strada come una pista di decollo e quasi lo colpisco col tetto della vettura tanto non riusciva a prendere altezza con celerità. Si deve stare sempre attenti e questo sfibra molto più dei chilometri da percorrere. Basta un nonnulla e ti ritrovi con l’auto in panne e solo nel bush. Giunto a Exmouth faccio benzina e poi compro qualcosa per la cena che farò in camera. In giro infatti è un mortorio totale. Meglio così. Domani ho in programma una giornata terribile, mi alzerò alle 3.30. Parto infatti con le tenebre anche se so bene che è sconsigliabile farlo per via degli animali che attraversano la strada, comunque, con più attenzione ed un andatura moderata riesco a coprire un bel po’ di chilometri prima del sorgere del sole, nonostante alcuni wallaby che mi si mettano al centro della strada correndo sempre nel mezzo e non scostandosi che dopo un centinaio di metri. Dopo quasi 300 chilometri, distrutto dalla tensione e da una strada sempre uguale, giungo al roadhouse di Nanutarra, in mezzo al nulla più assoluto. Ammiro il pittoresco fiume che scorre sotto un ponte. Pare di essere davvero fuori dal mondo, c’è un silenzio che innalza lo spirito e anche gli occhi godono quando uno stormo di pappagalli bianchi s’innalzano nel cielo deliziandomi delle loro personali note. Faccio il pieno ed anche la colazione, servito da una donna un po’ lunatica, d’altronde non sarà facile lavorare tutti i giorni qua a 300 chilometri dal più vicino paese, c’è rischio di diventare pazzi o di finire a parlare con gli animali. Riparto per altri 270 chilometri fino a Paraburdoo. E’ ormai 500 chilometri che guido nell’outback profondo e per non addormentarmi alla guida devo escogitare una serie di soluzioni che se qualcuno mi vedesse chiamerebbe immediatamente la neurodeliri. Ginnastica con le mani, urla a squarciagola, canti accompagnati da gesti delle braccia, insomma, potrebbe essere considerato un comportamento da pazzo, ma posso assicurare che guidare da solo, col rischio degli animali e su una strada pressoché diritta mette a repentaglio la salute mentale. Comunque faccio una sosta per comprare un panino e una bibita che consumo sempre alla guida per non perdere tempo. Il paesaggio è diventato un po’ collinare, ci sono blocchi di granito molto piacevoli che ti rubano uno sguardo. Lo scopo di questa levataccia è di raggiungere, se possibile, il Karijini national park, uno dei luoghi più spettacolari del Western Australia, ricco di gole e di passeggiate che, avendo tempo a sufficienza darebbero la possibilità di godere di sensazioni davvero uniche. Ce la faccio dopo aver fatto ancora benzina a Tom Price. Attraverso la pista sterrata che percorre il parco mi dirigo subito al Weano gorge dove dal Junction pool, ma specialmente dall’Oxers loockout, godo di una vista indescrivibile nel punto in cui si incontrano le gole di Red, Weano, Joffre e Hancock. Uno strapiombo pazzesco, da delirio. Quindi al Geoffrey gorge con a nord delle belle rocce stratificate e una gola profondissima. Ad avere tempo ci sono dei trek che portano fino in basso, a nuotare nel fiume sottostante. Non posso permettermelo perché durano un paio d’ore, sono molto faticosi e in alcuni casi anche pericolosi. Dopo il Kalamina gorge, termino la visita del parco alle Fortescue falls. Un breve sentiero mi porta alla base delle cascate dove mi tolgo gli abiti e mi tuffo nella pozza sottostante, facendomi in seguito la doccia sotto la cascata. Mi sento quasi rigenerato quando ripartirò uscendo dal parco accompagnato da centinaia di pappagallini rosa. Ho già percorso 800 km e non ce la faccio proprio a raggiungere Newman, più a sud, così decido di risalire per 30 km in direzione opposta pur di raggiungere la Munyina roadhose dove ceno con un panino e una bibita riposandomi un po’. Ora si tratta di trovare un alloggio, ma non ho voglia di farmi pelare nel motel qui presente così ritorno sui miei passi passando la notte in un aerea di sosta a qualche centinaio di metri dalla strada. Anche questa è un esperienza da fare. Sopra di me un tetto con migliaia di stelle. Commovente! Dormo come un sasso e riparto alle 4.30 della mattina seguente. Raggiungo Newman  dopo 180 km, un altro paese nato per via delle miniere della zona, ma poco prima del paese noto un cartello che indica a sinistra la comunità aborigena di Parnpajinya. Entro, anche se qui hanno loro leggi e si deve stare attenti. L’ordine che regnava nei paesi visti finora di colpo viene sostituito da qualche strada zeppa di macerie e auto scoperchiate. Rifiuti a lato della strada e catapecchie opprimenti. Una vecchia sta camminando in mezzo alla strada. E’ un aborigena con la barba, sì non sto scherzando e dei baffi ben delineati sul viso bruciato dal sole. Dopo aver girovagato per qualche minuto fra queste vie noto un campo dove mi reco in auto e dove ci sono altre quattro persone, due dormono per terra fra bottiglie vuote e un puzzo rivoltante. Non posso affermarlo con assoluta certezza, ma ho la netta sensazione, anche per averlo letto, che il bianco australiano abbia reso gli autoctoni degli emarginati, per la maggior parte estranei alla società. A un chilometro di qui la comunità di Newman, con le sue ville ordinate e i box con i fuoristrada. Colazione e via per altri 160 km fino alla Kumarina roadhouse dove faccio ancora il pieno. Ora mi aspettano altri 250 km di delirio in mezzo al nulla più assoluto. Ogni tanto qualche road train, classici da queste parti. Sono dei Tir con tre o quattro rimorchi che possono essere lunghi fino a 53 metri. Naturalmente devono essere assemblati fuori dalle cittadine, perché altrimenti non sarebbero in grado di fare le curve in essa presenti. La radio non prende e i gesti che faccio per mantenermi vivo e sveglio cominciano a fare paura anche a me. Non è che finirò pazzo? Finalmente ecco Meekatharra dove faccio il pieno e compro da mangiare, ma ora piove e le nuvole in cielo minacciano pesantemente il mio progetto di raggiungere Wiluma attraverso la direttissima in pieno Goldfields. Sono 180 chilometri di pista in terra battuta che mi porterebbe sulla Goldfields Hwy da cui potrei tranquillamente scendere a sud fino a Leonora, ma ho paura che possa peggiorare il tempo e crearmi problemi di percorribilità. Inoltre non c’è alcun centro abitato in zona. L’alternativa sarebbe quella di percorrere un secondo itinerario che porterebbe ugualmente alla stessa highway, ma facendo 150 km in più. No, decido di rischiare, e scelgo la prima opzione ma, appena percorsi una decina di chilometri, comincia a piovere e le nuvole nere sembrano compattarsi in cielo. Per fortuna la mia buona stella mi accompagnerà e saranno solo poche gocce di pioggia per tutto il tragitto che comunque coprirò avvistando un solo furgoncino in 180 km. Quando finalmente entro nel paesino di Wiluma, con la speranza di fare un nuovo pieno, m’accorgo che sembra un paese fantasma, un paio di aborigeni a cui chiedo informazioni e dai quali ricevo risposte gutturali. C’è una pompa di benzina, ma è chiusa. Riparto quindi senza indugio direzione sud raggiungendo dopo altri 170  km Leinster, prima del quale ammiro un bel lago salato e una coppia di emù. Pieno di benzina e riparto con gli occhi ormai fuori dalle orbite e una stanchezza che non mi riesce di descrivere. Per fortuna il tempo sembra migliorare e nei pressi della mia destinazione finale, Leonora, dopo 1.100 km percorsi, sono spettatore di un arcobaleno straordinario e di un tramonto rosso fuoco d’imbarazzante bellezza. Non ho nemmeno voglia di mangiare qualcosa e mi rifugio immediatamente in un aerea di sosta poco fuori paese per dormire, anche questa volta in auto. Altra sveglia alle 5.30 abbastanza riposato. Ritorno a Leonora dove, nelle vicinanze, visito il sito di Gwalia, occupato nel 1896 e lasciato nel 1963 quando la miniera si è esaurita. Sono ancora presenti alcune casupole dei minatori con i suppellettili che c’erano allora. Nelle vicinanze un enorme buco poco visibile dalla pista, dove si estrae l’oro. Riprendo la strada verso sud. Sto guidando nel southern outback, un territorio brullo ed isolato che riflette l’anima più autentica del bush australiano.Qui le strade attraversano un territorio che pare infinito. Questa fu, ed è ancora, la zona della corsa all’oro al cui centro sorge la cittadina di Kalgoorlie-Boulder. Nel 1888 qui si svolse una delle ultime corse all’oro che la storia ricordi, e il miraggio della ricchezza trascinò qui cercatori provenienti da tutta l’Australia e da mezzo mondo. In breve tempo nacquero una cinquantina di cittadine, ma le condizioni di vita erano durissime. La popolazione cominciò poi a diminuire con l’esaurirsi dei filoni e oggi Kalgoorlie- Boulder resta l’unico vero centro abitato. Dopo 230 km vi giungo dirigendomi subito alla principale attrattiva del luogo, il Superpit lookout, situato a due passi dalla Goldfields Hwy. Non credo che esistono altri luoghi al mondo dove sia possibile ammirare dall’alto uno spettacolo di questa grandiosità.  Immaginate un buco di 3.800 metri di lunghezza, 1350 metri di larghezza e arrivato ad essere profondo 500.  Grossi camion si muovono sul fondo trasportando il materiale fino in cima attraverso un tracciato a spirale fin sul bordo del buco. Impressionante! Una delle miniere d’oro più importanti del continente. Parcheggio poi l’auto  prima a Boulder e poi a Kalgoorlie, passeggiando per un oretta ed osservando i negozi e i locali della cittadina. In realtà non c’è un granché da fare. L’unica curiosità sono i locali tipo far west che di sera si riempiono di minatori che vengono qui a spendere la loro paga in bevute e prostitute, C’è persino una via, la Hay street, famosa per i suoi bordelli. Vorrei visitare un museo che dicono particolarmente interessante all’ingresso della cittadina, ma purtroppo è chiuso temporaneamente, perciò decido di ripartire verso Norseman dove ammiro alcuni laghi salati. Il mio progetto di raggiungere la costa sud a Esperance è andato in porto ed entro finalmente in questa cittadina costiera sull’oceano meridionale. Finalmente un alloggio, al Blue Water lodge, dove sistemo le mie cose e mi do una ripulita prima di uscire a mangiare una pizza. Le cittadine del Western hanno tutte ampie vie a doppio senso di marcia, fiancheggiate da ville abbastanza grandi, d’altronde qui il costo del terreno non dovrà essere alto. Un breve giro con l’auto e poi ritorno al lodge. Questa notte ho riposato bene, finalmente una sveglia decente, anche se alle 6.30 sono già in macchina, destinazione est, il Cape le Grand national park. La giornata è nuvolosa, un gran peccato dato che pensavo di sfruttare le spiagge che avrei incontrato sul posto, ma non si sa mai, vedremo! Lungo i 50 km che mi separano dal parco ammiro pianure sconfinate dove pascolano mucche e cavalli. Vedo un canguro e poi un piccolo dingo che mi attraversano la strada, devo stare attento! Entro nel parco guidando nella solitudine più totale, mi capiterà di fermarmi ad ammirare una coppia di canguri per un quarto d’ora, loro che fissano me e io loro, straordinario, lo spirito già mi si eleva oltre le cose terrene. Prima tappa la parte più lontana, Rossiter bay, fa freddino. La parte meridionale dell’Australia ha un clima diverso in questa stagione e la mancanza di sole si avverte sulla pelle. La spiaggia è deserta e piena di alghe anche se il panorama è di una selvaggia bellezza. Riparto, direzione Thistle cove dove un breve sentiero mi porta ad una spiaggia spettacolare, un arco di sabbia delimitato da enormi blocchi di granito e da dune di sabbia. Non resisto e faccio il bagno, nonostante la temperatura non superi di certo i 18 gradi. Qualche rarissimo essere umano per tutto il tempo che vi rimarrò e poi risalgo, dirigendomi nelle vicinanze a Whistling rocks, un luogo spettacolare in riva al mare che si infrange impetuoso sulle sue enorme rocce granitiche. Alcuni massi paiono davvero sul punto di rotolare in acqua da un momento all’altro. Ammiro le onde, alcune impetuose, che si incuneano negli anfratti rocciosi, magnifico. Punto ora verso Lucky beach, un anfiteatro di sabbia di un paio di chilometri assolutamente fantastico. Purtroppo è molto nuvoloso oggi e il colpo d’occhio non regala la magia che detiene in potenzialità, pioviggina anche un po’ ma non resisto a tale bellezza e mi tuffo in acqua in questo paradiso. In una giornata di sole questo parco sarebbe persino commovente con la sua straripante bellezza. Visito poi la Hellfire bay, anch’essa stupenda e, infine, la ciliegina sulla torta, la Grand beach, una spiaggia larga e lunghissima di sabbia fine che si perde a vista d’occhio. Dei fuoristrada la percorrono verso ovest, mentre a est ci sono delle grandi rocce sulle quali salgo per ammirare il panorama persino imbarazzante. Anche qui mi concederò un bagno superbo per poi ripartire ed ammirare il Frenchman peack, un enorme montagna di granito con in cima una specie di arco naturale che sarebbe bello raggiungere, ma il trek dura più di due ore. Durante il ritorno a Esperance le nuvole si diradano ed esce un timido sole che poco a poco inonda tutta la costa. Dopo un panino volante mi dirigo verso ovest, imboccando la Great Ocean drive, un percorso celeberrimo che consente di realizzare un periplo della zona, ammirando una decina di chilometri di costa di una bellezza assolutamente da delirio. Panorami così superbi, solitari, selvaggi e idilliaci possono persino risultare pericolosi per i deboli di cuore. Comincio dalla West beach e poi la Blue Heaven beach e la Salmon beach e poi ancora l’infinita Fourth beach. Ognuna di queste spiagge, lunghissime e impreziosite da una cornice naturale d’una bellezza impressionante, bordeggia un mare che, con il sole splendente nel cielo, si affresca con i colori più belli che si possano immaginare: dal grigio, al verde, all’azzurro. Ma alla Twilight beach tutte queste emozioni sembrano raggiungere il picco della beatitudine. Parcheggio l’auto e scendo alla spiaggia che solo la maestria di un Rubens saprebbe descrivere su tela in tutta la sua gamma di colori, bordeggiata a destra da massi di granito e impreziosita da due isolette granitiche che paiono cadute ai primordi dalle mani di un gigantesco creatore. Starò qui quasi un oretta deliziando il mio corpo con le carezze dell’acqua e dell’abbraccio solare. Magico, indescrivibile. Riparto, non riuscendo a credere che in uno stesso tratto di costa possano esistere paesaggi così incantati. E sarà ancora la Observation beach, la Nine mile beach,  la Free beach e la 11 mile beach, tutte spiagge lunghe più di un chilometro e assolutamente solitarie, selvagge, dotate ognuna di una scenografia che farebbe la gioia di qualsiasi persona che volesse ricavarne qualche forma di ispirazione. Nella parte terminale della Great Ocean drive ammiro anche il Pink lake, il cui nome gli è dato dalla presenza di una alga verde, la Dunalella Sailina, capace di resistere ad una salinità fino al 35%. A causa di questo alto tasso di salinità e di calore, accumula il pigmento rosso carotene, da cui il colore del lago. Bene! Il tour è finito, è ora che imbocchi la Coast Hwy, cominciando a macinare qualche chilometro che mi avvicini al climax principale della giornata di domani. Dopo 180 km eccomi così alla cittadina di Ravensthorpe dove faccio benzina e mangio qualcosa prima di raggiungere un aerea di sosta e di mettermi a dormire nel sacco a pelo in auto. Penultimo giorno di viaggio. Parto alle 5.00, dato che voglio raggiungere Wave rock prima possibile e la mia partenza è salutata da decine di pappagalli arancione che svolazzano per qualche minuto tutt’intorno. Dopo 200 km raggiungo Hyden, nei pressi del quali ammirerò dei pappagalli neri ed altri verdi, quasi fosforescenti. Poco distante il sito di Wave rock, celeberrimo in tutto il mondo. E’ una straordinaria formazione di granito policromo alta 15 metri e lunga 110 che ha la forma di un onda sul punto di infrangersi, il prodigioso risultato dell’erosione prodotta dagli agenti atmosferici nel corso di 60 milioni di anni e le sue affascinanti striature multicolore sono dovute al lungo scorrimento dell’acqua provenienti da sorgenti minerali locali. Attraverso un breve sentiero raggiungo anche Hippo’s Yawn, un insieme di rocce che davvero danno l’idea di uno sbadiglio d’ippopotamo. Riprendo l’auto e dopo venti km di pista raggiungo l’altro famoso sito della zona: la Mulha’s Cave dove, in una grotta, si trova una ricca collezione di arte rupestre aborigena, prevalentemente impronte di mani. Con questo ho praticamente ottenuto tutto ciò che mi ero ripromesso. E’ ora di ripartire per Perth, un'unica tirata di 350 km. Trovo un hotel confortevole nel Royal, ubicato proprio nel centro cittadino, sistemo le mie cose, pantaloncini da bagno e via, per quello che sarà il mio ultimo bagno. Mi dirigo a Freementle, alla foce dello Swan river, a 19 km. Luogo rilassato, pulito e verde, residenza ideale per professionisti ed artisti. Qui nel 1987 si svolse l’America’s cup ed è conservata l’imbarcazione dalla chiglia alata Australia II che vinse negli anni 80.  Non ho voglia di visitare la cittadina e mi dirigo direttamente alla vicina Cottosloe beach, la più famosa spiaggia dei dintorni. Trascorrerò qui un oretta per poi fare ritorno a Perth. Doccia strepitosa e quindi via, a passeggiare per le vie della capitale del Western Australia. Ceno al King street café, considerato un istituzione cittadina, che ha svolto un ruolo fondamentale  nel creare la cultura del caffè. Bagnato da uno Chardonnay bianco australiano, lo Stonier  Mornington del 2009, gusterò un red snapper con patatine. Uscito, faccio un giro nelle vie centrali, spingendomi fino alla zona della Marina da dove si può ammirare un colpo d’occhio fantastico sui grattacieli illuminati di Perth. Attraverso la famosa Hay street e la Wellington faccio poi ritorno in albergo, preparandomi per l’ultima giornata di domani. Sveglia alle 5.30, giusto per non perdere il vizio, colazione e verso le 7.00 comincio il mio city tour dalla zona di Forrest place, con l’ufficio delle Poste in stile vittoriano. Proseguo nella Hay street raggiungendo il municipio e, più avanti, la St Mary cathedral, neogotica, con delle piacevoli vetrati policrome e istoriate sopra l’altare e il transetto. Scendo al Government house e al Council house vicino ai quali c’è un simpatico monumento dedicato all’animale simbolo dell’Australia, il canguro. Proprio di fronte, la bella St. George cathedral, realizzata in cotto ed in stile neogotico con un bel tetto in legno. Anche qui piacevoli vetrate policrome e un bel rosone. Molto originale l’organo dove, alcune delle sue canne, spuntano verso la navata centrale come fossero trombe. Raggiungo quindi la zona della Marina dove realizzo belle foto dello skyline di Perth e della Swan Bell tower, una moderna struttura in rame e vetro in cui sono custodite le campane provenienti dalla chiesa londinese di St.Martin-in-the-Fields. Il viaggio è terminato. E’ ora di andare all’aeroporto dove riconsegno l’auto e attendo d’imbarcarmi sul volo Malaysia per Kuala Lumpur. Non ci saranno inconvenienti fino all’atterraggio a Linate dove mi accoglie freddo e un cielo plumbeo, ben differente da quello che ho lasciato in quella terra straordinaria che è il Western Australia.

 

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