2009/10 zanzibar
L' isola delle spezie
Partiamo dalla Malpensa con quasi tre ore di ritardo alle 2.30 di notte, e dopo 7°40’ di volo, atterriamo all’aeroporto internazionale di Zanzibar, a circa 7 chilometri dalla sua capitale Stone Town. Il ritiro bagagli si rivela un esperienza unica, un misto fra le atmosfere di una barzelletta e un incubo, con tutti i vacanzieri in attesa dietro ad un bancone, al di là del quale tre addetti, sudati come appena usciti da una sauna, passano uno ad uno i bagagli che man mano giungono loro. Mai visto nulla di così disorganizzato in tanti viaggi da me effettuati. Un pulmino della Going ci carica trasferendoci poi verso nord, nella zona di Nungwi al nostro Baobab resort. Sono le 14.30 quando arriviamo e dopo pranzo facciamo subito conoscenza con la bella spiaggia. Il tempo è buono. Il colore del mare si dilata dal verde al turchese, magnifico! La temperatura dell’acqua sarà sui trenta gradi e l’esperienza balneare è davvero entusiasmante. Nei pressi della spiaggia, più a nord, ci sono altre strutture minori confinanti con il successivo villaggio di pescatori. Le loro barche e quelle adattate per portare i turisti in escursione sono di fronte alla riva. Il pomeriggio si trascorre così, fra mare e sole, sdraiati su una candida spiaggia. Ci sono gli immancabili beach boys, insistenti, e alcuni Masai, nel tipico costume tradizionale che propongono la loro paccottiglia. Dopo cena assistiamo al breefing durante il quale il direttore del complesso ci presenta il responsabile delle escursioni e ci informa di un problema che già ci era stato anticipato dall’Italia. L’energia elettrica non sarà sempre disponibile, come di conseguenza la doccia e l’acqua dei servizi igienici. Sembra infatti che il cavo che trasporta la corrente dalla costa della Tanzania fin sull’isola, abbia subito un danno, non si sa bene di che natura, e tutto il zanzibarino, con l’isola di Pemba inclusa, non dispone di corrente. E’ una calamità assoluta che però, verificheremo in seguito, non toglierà alla gente dell’isola il suo genetico buon umore. Per garantire il normale funzionamento della struttura ci sono tre generatori di corrente che cercheranno di attenuare il disagio. Alle tre di notte, quando il ventilatore della stanza si fermerà per uno dei due periodi di mancanza d’erogazione, l’atmosfera diventerà tuttavia abbastanza pesante, sebbene sopportabile. Il giorno seguente resteremo tutto il tempo all’interno del villaggio, godendo di ogni punto balneabile disponibile e rilassandoci completamente, ma dentro di me già ho in mente le escursioni da organizzare e con chi farle. In spiaggia prendo contatti con il Sindaco Carletto, una specie di boss che organizza le escursioni per coloro che non vogliono pagare il prezzo pieno dell’organizzazione ufficiale. Riuscirò a strappargli dei prezzi più bassi di quanto la Going proponga per almeno dieci turisti. Noi, invece domattina partiremo da soli, per l’isola di Mnemba avendo a nostra completa disposizione una barca e l’intero equipaggio formato da tre persone. Alle nove di mattina si salpa, lasciando la spiaggia in direzione nord, dove si può vedere il faro, nella parte più settentrionale dell’isola. Il mare è un po’ agitato e la navigazione, durata circa due ore, metterà a dura prova il nostro stomaco, ma si giunge senza particolari problema nei pressi dell’atollo di Mnemba al largo della costa tra Matemwe e Nungwi, una distesa di barriera corallina superficiale con una piccola isola a forma di cuore. Qui non è possibile attraccare, a meno di non essere tra i ricchissimi ospiti del Mnemba island club (prezzi che s’aggirano sui 1700 $ per una doppia). Proseguiamo fino ad un punto, a circa dieci minuti di navigazione dall’isola dove sono presenti altre barche con turisti. Chi con bombole, chi armato di solo maschera e boccaglio come noi, ma tutti ben determinati a godere dei fantastici fondali corallini qui presenti. L’esperienza di snorkelling sarà entusiasmante, in mezzo ad una distesa impressionante di corallo. Riconosco vari tipi di corallo molle, e duro come il corallo cervello e quello di fuoco, anemoni con i classici pesci pagliaccio. Molti pesci corallini tradizionali fanno da contorno a questo mondo straordinario. Terminata l’esperienza esplorativa del reef, e risaliti in barca, chiedo al capitano di spostarsi nei pressi dell’isola. Voglio apprezzarla da altri punti e lo convincerò a portarci nel lato nord est, poco visibile, dove è presente una lingua di sabbia parzialmente sommersa che non ci impedisce di godere per mezzora di una esperienza balneare da sogno. Acque calde, colori classici di una cartolina tropicale, mentre i nostri corpi sono costantemente vezzeggiati da uno sciacquio estatico. Tutto questo lo possiamo godere perché siamo da soli. I componenti di tutte le altre imbarcazioni non ne godranno, dato che l’isola è privata e una presenza massiccia attirerebbe i guardiani che ne controllano il perimetro con un veloce gommone.Bene! La giornata si sta delineando come nelle più ottimistiche previsioni. Ora ci dirigiamo verso la spiaggia di Mujoni dove consumeremo un frugale pasto a base di pesce. Una successiva, piacevole balneazione, completerà la nostra giornata di mare. Il ritorno lo faremo più sotto costa, in modo da ammirare le spiagge della zona nord est, comunque poche e non di grande pregio. Doppiamo il faro, sbarcando nuovamente sulla nostra spiaggia dove concludiamo la nostra fantastica giornata di mare e sole. Dopo cena ce ne andiamo a letto, stanchi e contenti. L’indomani, il sole ci gratifica ancora della sua presenza alta nel cielo, consegnandoci una mattinata altrettanto piacevole che concludiamo con un veloce pranzo prima di rimetterci nelle mani dell’organizzazione del Sindaco. Un auto ci aspetta alla sbarra del villaggio e un autista ci porterà sino alla capitale Stone Town. Durante il tragitto di circa 50 chilometri ammiriamo la vita dei villaggi che si incontrano sulla strada. Le persone vi conducono i loro commerci di frutta, pesce ed altri oggetti di prima necessità. L’autista ci fa conoscere i vari alberi da frutta e così riconosceremo quelli di papaya, mango, dell’albero del pane e di jack fruit. Capanne di muratura, ma anche molte di fango. Senza elettricità sarà ancora più complicata per loro la vita, già resa gravosa da un reddito medio che s’aggira sui 70 dollari al mese. L’isola è retta da un presidente di destra che molti indicano come un dittatore. Gli scontri tra il suo partito e gli oppositori di sinistra, nelle vicinanze delle tornate elettorali, sono talvolta cruenti, ma si sa come vanno le cose in Africa! Eccoci alla periferia della capitale con i suoi edifici fatiscenti e le ville della nomenklatura. Chiedo all’autista di portarci nei pressi del lungomare dove dovremo incontrare il Sindaco Carletto per definire gli ultimi dettagli riguardo alle prossime escursioni. Dopo aver parlato con lui, ci facciamo portare al big tree, luogo dove ci rincontreremo dopo la visita della capitale fra tre ore esatte. La città è stata inserita nel 2000 dall’Unesco nel patrimonio mondiale dell’umanità. Naturalmente, il caos regna sovrano come il caldo, ma cerchiamo di cominciare la visita più determinati possibili. Percorriamo il lungomare fino all’imbarcadero e, più avanti, al cine Afrique, nei pressi del quali è la moschea di Mnara, una delle 51 di Stone Town. L’unica sua particolarità è la forma conica del suo minareto. Ritorniamo sui nostri passi, oltre al big tree, un gigantesco baniano nei pressi dell’Old Dispensary, imponente edificio a quattro piani fatto costruire da uno uomo d’affari ismailita, tale Tharia Topan che oltre ad essere il consigliere finanziario del sultano intratteneva rapporti d’affari col famoso mercante di schiavi Tippu Tip. E’ forse per punirsi di questa conoscenza che fece costruire il dispensario. Più avanti visitiamo il Palace museum, dalla caratteristica architettura arabeggiante. E’ l’ex palazzo del sultano, e al suo interno ammiriamo le varie stanze della residenza, sobrie, solo impreziosite qua e là da qualche bella cassettiera traforata, sedie e mobili di un certo pregio. Quindi l’House of Wonders, con la sua facciata adorna di colonnine e logge sormontate da un imponente torre con orologio. Ospita un museo che però non abbiamo tempo di visitare. Nelle vicinanze i Forodhani Gardens, riparo fresco e piacevole dai raggi infuocati del sole. Il vicino Omani fort fu costruito dagli omaniti dopo che riuscirono a scacciare i portoghesi nel 1698. Ora non c’è molto da visitare se non le mura rimaste abbastanza intatte. Terminata la visita degli edifici d’interesse del lungomare, ci inoltriamo all’interno della città vecchia, con i suoi vicoli che racchiudono edifici decrepiti ed altri interessanti dalle belle porte intarsiate. Percorrendo la Cathedral street giungiamo alla cattedrale cattolica di Saint Joseph, la cui prima pietra fu posta nel 1896. Al momento risulta chiusa, così proseguiamo la visita dirigendoci verso la casa di Tippu Tip, il più famigerato negriero dell’africa orientale. Questo mercante, già nel 1870 gestiva carovane di schiavi composte da oltre 4.000 anime, provenienti dal Congo. Quando nel 1890 l’influenza europea sulla regione pose fine al triste commercio, Tippu Tip se ne tornò a Zanzibar godendosi le immense ricchezze accumulate, rispettato come un gentiluomo della società swahili. Dello sfarzo della sua residenza ora resta solo il bel portale intarsiato e con bassorilievi. Ritorniamo sulle stradine centrali, piene di negozietti caratteristici, molti di loro illuminati grazie a generatori per via della mancanza di corrente. Ad un certo punto riconosco d’essermi perso e accetto l’ausilio di guida da parte di un locale con il quale raggiungiamo i bagni persiani di Hamamni. Il tempio ancora a disposizione però non è molto perciò, visto il poco interesse che sembra avere, si decide di proseguire fino alla zona della cattedrale anglicana. Nei pressi è rimasto l’edificio adibito a mercato degli schiavi, chiuso nel 1873 dal riluttante sultano Barghash dietro pressione dei britannici. Nei seminterrati che visitiamo si trovano le celle degli schiavi, minuscole, desolati spazi dove restavano fino al giorno in cui venivano venduti al mercato. Le condizioni erano decisamente squallide: fino a 75 schiavi ammassati in celle così piccole che la maggior parte non riusciva nemmeno ad alzarsi in piedi. Una emozione terribile mi è salita dentro quando ho respirato quella angusta atmosfera. Entriamo quindi nella chiesa anglicana Church of Christ. La prima pietra fu posta proprio quando fu chiuso il mercato e il suo interno abbonda di reminescenze della tratta degli schiavi. Un cerchio rosso tracciato sul pavimento a lato dell’altare segna il punto dove si alzava il palo a cui loro venivano legati e frustati per mostrare la loro forza.Bene. Il tour della città deve finire, l’appuntamento sotto il big tree è fra poco più di dieci minuti. Giusto il tempo per attraversare quasi tutti il centro vecchio ed ammirare la moschea dell’Aga Khan. Ritorniamo dopo un ora circa di auto al nostro villaggio, proprio mentre il sole, infuocato, tramonta in occidente. Doccia e ci sistemiamo per la cena. Quindi a letto, dato che per domattina è prevista un’altra escursione al villaggio di Kizimkazi per imbarcarci verso la baia dove spesso si possono avvistare i delfini. Purtroppo però, l’indomani ci aspetta una brutta sorpresa. Paolo non sta bene di pancia e dobbiamo annullare la giornata di viaggio. Il Sindaco capisce e ci fa pagare solo una piccola penale. Ci rifaremo il giorno seguente con l’escursione alla penisola di Fumba, nel sud dell’isola. La giornata la trascorriamo piacevolmente in mare, assaporandolo sia nella sua condizione di bassa, che di alta marea. In entrambi i casi, qui a Nungwi è possibile fare il bagno, mentre nella parte sud e est di Zanzibar questo diventa una esperienza quasi impossibile perché il mare si ritira talmente tanto da scoprire rocce e sassi che impediscono al bagnante d’entrare. Proprio nelle vicinanza del nostro Baobab è il villaggio italiano Gemma dell’est che ha la migliore spiaggia di tutta Zanzibar. La mattina dell’escursione organizzata a Fumba giunge, come però anche il mal tempo. E’ la prima volta che piove e lo fa copiosamente. Si decide ugualmente di partire, con la speranza che il fenomeno si attenui o smetta. Siamo in contatto telefonico col Sindaco il quale afferma che a Stone Town è nuvoloso, ma non piove e a Fumba dicono che poi potrebbe addirittura spuntare il sole. In effetti, giunti nella capitale, l’ottimismo cresce, ma nel prosieguo verso la penisola riprende a piovere, anche se non in modo scrosciante. Non sappiamo cosa aspettarci dalla gita, ma siamo in ballo e decidiamo di continuare, una volta parlato col capitano della barca che ci dovrebbe trasportare sull’isola di Kwale. La piccola imbarcazione è all’ancora, a circa duecento metri dalla spiaggia. La bassa marea ci impone perciò una lunga camminata nell’acqua bassa sotto la pioggia. Io copro lo zaino con un telo mare per impedire che mi si bagni l’interno. La famiglia ha gli occhi pieni di domande, mentre s’incammina verso l’ignoto. Ci siamo solo noi in questa baia immensa, sotto un cielo plumbeo, minaccioso. Giungiamo finalmente sulla barca, spartana. Solo un improvvisato telone che devo tenere a posto con le mani, impedisce alla pioggia di bagnarci completamente durante la navigazione. Si comincia col mare piatto della baia, fino a dondolare pericolosamente. L’isola di Kwale s’avvicina, mentre la pioggia non vuole saperne di smettere. Si deve invertire il programma e raggiungere prima la spiaggia dove si pranzerà e in seguito andare a visitare la zona delle mangrovie e la lingua di sabbia. La bassa marea però ci impone un approccio alla costa quanto mai improprio. Le rocce, i coralli sono un pericolo per la barca che, infatti, s’incaglia a pochi metri dal nostro possibile sbarco. Tutto l’equipaggio, formato dal capitano e da due marinai, deve scendere in acqua, sotto la pioggia per disincagliarla, mentre si barcolla paurosamente a causa delle onde. Gosia ha paura e i figli trattengono a stento manifestazioni di spavento, mentre io cerco di fare il possibile perché il telone li protegga tutti dalla pioggia. Finalmente sganciati, scendiamo, con l’acqua alla cintola, camminando sulle alghe e le rocce in direzione della spiaggia. Una bella avventura, se non fosse vissuta con la famiglia impaurita. Raggiunta la spiaggia ci rifugiano tutti sotto una delle capanne dove, dopo un po’ giunge uno dei marinai a darci della brace con cui scaldarci. Pranzeremo dopo un ora, mentre il cielo ha appena smesso di scaricare pioggia ed un pallido sole, di tanto in tanto, cerca di riscaldare l’ambiente. Nelle vicinanze ammiriamo uno straordinario, gigantesco baobab e, quando ripartiamo, l’acqua è arrivata fino alla spiaggia coprendo quasi duecento metri di costa (incredibile). Ci dirigiamo verso una fantastica lingua di sabbia che l’alta marea pian piano sta coprendo. Godiamo di una magnifica esperienza balneare in mezzo alla baia, per poi sostare più avanti nei pressi di una sottostante foresta di corallo. Il fondale è un po’ profondo ora, ma è ugualmente piacevole l’esperienza dello snorkelling. Il ritorno al villaggio di Fumba è contraddistinto dall’urlo di gioia e di soddisfazione di tutta la famiglia, conscia finalmente di essere uscita dall’incubo di questa giornata. Il ritorno al villaggio e la decisione per domani di rinunciare all’ultima escursione che era in preventivo. La famiglia si è giocata le ultime carte quest’oggi e domani vuole starsene in pace, coccolata al villaggio. L’ultimo giorno di viaggio è contraddistinto da un bel sole, radioso, che dipinge le acque della costa con i più bei colori. L’esperienza del bagno è piacevole, ma riesco a convincerli di dedicare almeno il pomeriggio alla scoperta delle spiagge della zona nord est dell’isola. Contatto un altro boss della spiaggia con il quale prenoto un auto con autista per il pomeriggio. Alle due partiremo con lui alla volte della zona est. La prima spiaggia che visiteremo sarà quella che si spiega di fronte al villaggio di Matemwe. La bassa marea evidenzia grossi banchi di rocce ed alghe, importante voce per l’economia nazionale come lo sono le spezie che vengono coltivate nella zona centrale dell’isola. Le alghe vengono raccolte e fatte seccare al sole. Vendute ai commercianti di Stone Town, verranno successivamente esportate nei paesi dell’oriente: Giappone e Cina dove verranno ad essere utilizzate per produrre cosmetici e medicinali. La prima cosa che notiamo è l’incredibile temperatura delle acque, senza dubbio sopra i 35 gradi. Il bagno, comunque non è un gran che, perciò decidiamo di ripartire, non prima però di aver passeggiato un po’ nel villaggio dove i locali non vogliono assolutamente che si facciano fotografie. Da Matemwe si raggiunge la spiaggia più a sud di Pwani Mchangani. Entriamo in un resort conosciuto dalla nostra guida e nuotiamo anche qui, di fronte ad una spiaggia ampia e sabbiosa. La nostra ultima tappa sarà ancora più a sud, nell’immensa spiaggia di Kiwengwa, colonizzata dai villaggi tutto compreso, in prevalenza italiani. Ora la marea s’è alzata, ma in condizioni di bassa è pressoché impossibile l’accesso al mare. Nonostante la spiaggia sia bella, è troppo turistica per pensare di trascorrervi una vacanza in piacevole relax. Torniamo al Baobab, con la convinzione di aver scelto in fondo il luogo migliore per il soggiorno. L’isola è interamente conquistata dal turismo di massa italiano tanto che, ormai da quindici anni, la lingua più parlata sull’isola, oltre al kiswahili è l’italiano, nonostante a scuola si insegni come seconda lingua l’inglese. La vacanza sta volgendo al termine. Ora dovremo sistemare tutte le nostre cose dato che domattina la sveglia sarà molto presto. Alle sette infatti è programmata la colazione e la partenza in pulmino alle 7.30. Tutto sommato è stata una settimana durante la quale abbiamo goduto di ottime esperienze balneari, il clima ci ha favorito con solo una mezza giornata di cattivo tempo e durante il ritorno in aeroporto riviviamo dentro di noi i piacevoli momenti trascorsi su questa affascinante isola. Il disbrigo delle pratiche aeroportuali sarà però un esperienza da incubo. Immersi in una atmosfera dantesca, trascorreremo più di un’ora e trenta tra file interminabili per adempiere a tutte le assurde procedure di controllo. Forse l’unica vera pecca di questo soggiorno. L’organizzazione elementare di un qualsiasi uomo di media cultura nostrano, avrebbe risolto i problemi di congestione insopportabile delle procedure in due giorni. Mah! Forse gli zanzibarini vogliono in questo modo punire i turisti europei che, di fatto hanno depredato i locali della maggior parte delle risorse naturali del paese.
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