2022 EGITTO
Il Cairo – Una metropoli tentacolare
15/5 domenica – Dopo più di due anni dall’ultimo viaggio che merita tale appellativo, ma durante i quali sono riuscito a visitare comunque una moltitudine di località in Italia, finalmente eccomi all’aeroporto di Bergamo dove, alle 0.30 di domenica, parto con un volo Air Arabia per la capitale egiziana. Atterraggio all’aeroporto internazionale del Cairo alle 04.00 e, dopo aver espletato le operazioni per ottenere il visto, esco dall’aerostazione alla ricerca del bus per downtown. Vengo assalito da molti taxisti, dato che sembra non esserci a quest’ora un collegamento per il centro. Mi pare impossibile, ma dato che riesco a spuntare la corsa in taxi a meno di 8 euro, decido di percorrere i circa 20 chilometri fino al centro più comodamente. Il mio Lotus hotel non mi aspetta certo alle 6.00 del mattino, ma convinco un sonnolento addetto ad accettarmi ugualmente. Alle 7.00 faccio colazione e poi esco ad iniziare le mie visite, dirigendomi alla vicina Midan Et Tahir. La piazza è stata rinnovata dal governo con la posa di un obelisco fatto erigere da Ramses II a Tanis, che mi accingo a fotografare, ma due ragazzi della Sicurezza me lo impediscono, sembra che sia vietato per una ragione che nemmeno loro sanno. Il traffico intanto sta aumentando in modo impressionante e il frastuono continuo dei clacson, mi impone già da subito di vestire i miei abituali panni da viaggio, in grado di farmi scivolare addosso qualsiasi disagio o problematica. Sembra inverosimile, infatti, ma il semplice atto di attraversare una strada, già in downtown, è un esperienza che potrebbe apparire a noi occidentali come impresa azzardata. Gli automobilisti del Cairo, come quelli dei rickshaw delle zone più popolari, eseguono, per procedere, delle manovre che dire azzardate è un autentico eufemismo. Qui non esiste il rispetto di alcuna regola stradale, i semafori pressoché inesistenti obbligano i conducenti a districarsi in un inferno di lamiere, accaparrandosi la precedenza in ogni modo possibile. I pedoni devono letteralmente rischiare la vita ad ogni attraversamento e, al mio ritorno a Milano, avrò la curiosa sensazione di poter attraversare una strada milanese persino senza guardare, tanto i miei sensi si erano affinati al Cairo. Sull’altro lato della piazza è una bella statua del sultano Omar Makram, di cui ammiro anche la moschea omonima. Sempre intorno alla piazza è il palazzo del Mugamma, un edificio amministrativo governativo dove tutte le pratiche burocratiche vengono svolte dalle agenzie governative. In shari Qasr el Ayni ammiro anche il palazzo della vecchia Università Americana e quello del Parlamento. C’è polizia armata ovunque, specie nei paraggi degli edifici governativi. Il timore di attacchi terroristici si avverte, insieme comunque ad una sensazione di sicurezza che si percepisce ovunque si vada, proprio per la presenza delle forze dell’ordine. Anche nel vicino Tahir palace non posso fotografare, comunque sono nei pressi del ponte Qasr en Nil, ubicato tra piazza Tahir e l’isola di Gezira. Il ponte è noto per i quattro leoni in bronzo posti alle sue estremità. Un occhiata alla Torre del Cairo, nel quartiere Zamalek, per dieci anni la struttura più alta dell’Africa, 187 metri. Nel ritornare do un’occhiata al palazzo, sede della Lega Araba, adiacente al celebre albergo Ritz Carlton, per poi dirigermi al Museo Egizio che apre alle 9.00. Ospita la più completa collezione di reperti archeologici dell'Antico Egitto del mondo. Gli oggetti in mostra sono 136.000 e molte altre centinaia di migliaia sono conservate nei magazzini. Strutturato su due piani, salgo subito al secondo, la parte migliore. Un esperto vi si potrebbe trattenere per ore, ma mi rendo conto che la mia competenza, a riguardo, è solo sufficiente, ma resto comunque affascinato, dopo la gratificante esperienza al Museo Egizio di Torino, di molte tipologie di oggetti, come gli arredi funerari di Juiya e Tuiyu e i vasi canopi che contenevano i loro organi interni, la mummia di Juiya, la maschera funeraria di Tuiyu e i sarcofagi di entrambi. Impressionante il papiro di 19 metri ritrovato nella loro tomba. Molto interessanti sono anche i sarcofagi con i famosi ritratti del Fayyum, realizzati su tavole lignee che ricoprivano i volti di alcune mummie egizie d’epoca romana. Nelle numerose sale si possono ammirare varie mummie, sarcofagi appartenuti a re, regine e sacerdoti del Nuovo Regno, oggetti di vario tipo di uso quotidiano, monete, ma l’attrazione maggiore è nel lato nord dove ammiro la statua di Tutankamon e il suo trono, in legno, ricoperto di lamine d’oro e d’argento, e impreziosito da turchesi, corniola e finissimi intarsi in vetro verniciato. Quella di Tutankamon è stata l’unica tomba che non abbia conosciuto profanazione e furti da parte dei tombaroli, attivi persino ai tempi dei faraoni. Entro ora nella sala del tesoro di Tutankamon, dove è vietato fotografare. E’ impossibile non restare meravigliati dalla profusione di oggetti che sono stati trovati nella sua tomba, nella Valle dei Re. Il 4 novembre 1922 l'archeologo Howard Carter trovò l'ingresso verso la tomba del faraone: il tesoro più prezioso dell'antico Egitto. Il corredo funerario era intatto. Stipati lì, più di 5.000 oggetti preziosi di diverso tipo, statue divine, umane e animali, sarcofagi, un trono, letti, armi, arnesi, gioielli, i vasi canopi con gli organi estratti dal suo corpo. Fra i tanti oggetti presenti mi hanno impressionato il diadema regale, i pettorali finemente intarsiati, braccialetti d’oro di finissima fattura, collari d’oro, la famosa maschera funeraria d’oro, il pugnale d’oro con relativo fodero e lo straordinario sarcofago d’oro. Dopo la straordinaria esperienza scendo al piano terra, dove sono presenti altre opere, come la Sfinge in calcare di Hatshepsut (XVIII dinastia), la grande statua di Zoser (in calcare siliceo, risalente al XXVII secolo a.C), il gruppo colossale che ritrae Amenhtep III, la regina Teye sua sposa e le loro figlie, la statua di Chefren in diorite, il gruppo con il nano Seneb e famiglia, le tavolette di Narmer (della prima dinastia, che celebra l’unificazione del paese). E’ impressionante il numero dei reperti presenti, e ci si può sentire persino spaesati. Dopo tre ore esco e prendo la metro rossa a Sadat che, dopo quattro fermate, mi porta a Mar Girgis. Non ho dormito niente questa notte, ma l’adrenalina in corpo è molta e riesce a sconfiggere del tutto la stanchezza. Il quartiere che sto visitando è denominato il Cairo Vecchio. Si trova a sud e conserva intatte mura romane e importanti testimonianze dell’antica comunità copta che qui creò il quartiere cristiano della città. La prima chiesa che incontro è la Chiesa Sospesa. Si accede da una scalinata di 29 gradini, è stretta in una viuzza e con due campanili simmetrici. Il tetto ricorda l’arca di Noè ed è presente un pulpito dell’11° secolo sormontato da 13 colonne che rappresentano Gesù e i 12 apostoli. La successiva è la Chiesa di San Giorgio, unico esempio di chiesa circolare in Egitto. L’interno non mi appassiona perché dovrebbe essere stato rifatto. Ho fame e decido di fare una pausa in un ristorantino turistico, dove ordino il kofta, uno dei più famosi piatti egiziani (polpette dalla forma allungata, solitamente preparate con carne macinata di agnello), servito con due piattini, di hummus (salsa a base di pasta di ceci e di semi di sesamo in olio di oliva) e tahini (salsa derivata da semi di sesamo) e del the. Proseguo poi la visita del quartiere con Abu Serga, una delle più antiche chiese copte in Egitto, risalente al IV secolo. Si tramanda che la chiesa sia stata costruita nel luogo in cui la Sacra Famiglia, Giuseppe, Maria e il bambino Gesù Cristo, riposarono alla fine del loro viaggio in Egitto per tre mesi, nella grotta della chiesa, la cripta che visiterò. Avrebbero vissuto qui mentre Giuseppe lavorava alla fortezza. La chiesa è di notevole importanza storica, infatti è il luogo di elezione di molti patriarchi della Chiesa Copta. Notevole, inoltre, il pulpito in marmo del 13° secolo. La successiva sarà Sitt Barbara, risalente al V secolo che tuttavia non contiene niente di significativo al suo interno. Ho ancora tempo e decido di entrare nel Museo Copto, che detiene le prime testimonianze delle comunità cristiane della Valle del Nilo. Sono presenti parti architettoniche proveniente da antiche chiese e monasteri, come fregi, capitelli, timpani. Alcune nicchie provenienti dal monastero di S.Geremia a Saqqara colpiscono la mia attenzione per i pregevoli motivi che li impreziosiscono. Il percorso espositivo comprende anche alcune iconostasi e raffinati oggetti in avorio e osso. E’ stata una giornata piena, ma ho ancora del tempo a disposizione, perciò riprendo la metro fino a Sadat, e poi un taxi che mi porta alla moschea di Ibn Tulum, la più grande del Cairo e la più antica dell’Africa, costruita in stile samarra, tipico degli abbasidi di Baghdad. Anche il minareto è unico, costruito a forma di chiocciola che assomiglia al minareto di Samarra in Iraq però distrutto, perciò questo è il solo rimasto. Le scale per salirvi sono all’esterno e ho la possibilità di percorrerle fino in cima, da cui posso godere di un bel panorama della zona e della adiacente madrasa-mausoleo di Sarghatmish. Costruita nell’876, l’interno di Ibn Tulum è realizzato in mattoni interamente rivestito di gesso come le finestre, lavorate a mano. La decorazione dei capitelli a bocciolo, degli archivolti e dei fregi richiama lo stile tipico di Samarra (tralci di vite). Sopra il fregio vegetale corre un iscrizione coranica in caratteri cufici intagliata in legno di sicomoro. Secondo la tradizione alcune tavole lignee proverrebbero dall’arca di Noe. Al centro la fontana a chiosco. Nell’iwan (sala) principale è il prezioso minbar ligneo (pulpito spesso sormontato da un baldacchino dove il muslin declama passi del Corano) e il mihrab (la nicchia che indica la direzione della Mecca dove si trova la Kaaba). Bene, sono cotto a puntino, e decido di prendere un rickshaw fino alla prima fermata della metro (questi mezzi non possono circolare in downtown, ma solo nelle zone popolari). Ho una certa abitudine a guide “allegre”, ma posso assicurare che un viaggio su questi mezzi, al Cairo, rischia di colorare di bianco i capelli di qualsiasi persona. Neppure in India, dove guidai per migliaia di chilometri ho mai provato dei brividi così intensi. Raggiunta la Talaat Harb, la strada del mio Lotus hotel, noto il Café Riché, segnalato dalle guide, un piccolo ristorante, in passato ritrovo degli intellettuali cairoti e ordino anche qui una kofta, questa volta grigliata e patatine fritte, con the. Una bella dormita che anticipa l’indomani forse la giornata più bella del viaggio.
16/5 lunedì – Alle 8.00 in punto si presenta la mia guida, Abdul, della Egypt tours che mi accompagnerà per tutta il percorso odierno. Prima tappa sarà la zona di Saqqara, subito dopo Giza. Pagato il biglietto d’entrata alla zona archeologica ci dirigiamo al famoso complesso funerario di Zoser, re della seconda dinastia, che ha fondato Menfi e che volle questa imponente struttura per sé e la sua famiglia. Un massiccio e imponente muro in pietra calcarea racchiude l’intero complesso, e uno stretto passaggio immette nel colonnato d’accesso fiancheggiato da 40 colonne. Terminato il percorso ci troviamo di fronte alla piramide di Zoser. L’interno, non visitabile, presenta un labirinto di corridoi, passaggi e stanze con infine la camera sepolcrale, dove riposava il defunto, mummificato. Per far sì che l’energia vitale dell’uomo potesse ricongiungersi con lo spirito e con il corpo era necessario per loro sottoporre la salma ad un processo cerimoniale detto mummificazione. Per loro la vita dopo la morte era considerata come un proseguimento della vita. Il defunto avrebbe proseguito nelle stesse attività, con le stesse necessità: mangiare e circondarsi di tutti gli oggetti avuti in vita, che comprendevano il suo corredo funerario e anche attraverso una serie di immagini e di geroglifici che assumevano una funzione magica potentissima in grado di evocare oggetti, luoghi, situazioni importanti per il defunto. Il primo passo del processo consisteva nella rimozione dal corpo degli organi interni, che avrebbero potuto accelerare il processo di putrefazione. Il cervello veniva rimosso grazie ad uncini inseriti nella narice, mentre gli organi addominali venivano estratti attraverso un incisione nell’addome. L’unico organo che non veniva rimosso era il cuore che era considerato la sede dell’anima. Questi organi venivano conservati in seguito nei vasi canopi, avvolti in tessuto di lino. Dopo si procedeva alla disidratazione del corpo immergendolo per 40 giorni in natron (un sale di sodio). Il corpo veniva quindi lavato con vino di palma (impediva lo sviluppo dei batteri decompositori). Proseguiamo le visite con la mastaba (tomba per nobili utilizzata nell’Antico Regno) di Unas. Inizialmente dedicate ai regnanti, dopo l’avvento delle piramidi, le mastabe erano destinate ai dignitari, sacerdoti e nobili di alto livello. Le mastabe erano suddivise in due parti: il sepolcreto che era costituito in una cripta, un pozzo profondo almeno 10 metri a conclusione del quale c’era il sarcofago. Adiacente poteva esserci un'altra sala contenente il corredo funerario che poi veniva murato e reso inaccessibile. Questa di Unas (ultimo faraone della quinta dinastia) è particolarmente bella. Una volta entrato, grazie alla torcia di un addetto, posso ammirare il pregevole interno, che contiene i testi delle piramidi, che si incontrano qui per la prima volta. Contengono formule magiche e preghiere destinate ad assicurare al defunto il piacere dei doni sacrificali. La camera sepolcrale presenta un soffitto stellato. Altra mastaba pregevole è quella della principessa Idut (figlia di Unas) che comprende dieci ambienti di cui cinque riccamente decorati con scene acquatiche, tanto amate da Idut: rappresentazioni di animali, scene di pesca all’amo e alla fiocina, come l’uccisione di un ippopotamo. E poi anche una “porta falsa” in perfette condizioni (una porta simbolica che consentiva al ka (la forza vitale) del defunto di transitare attraverso la via dell’aldilà, dal regno dei morti a quello dei vivi, e viceversa. Torniamo alla macchina dove ci attende l’autista, che riparte in direzione ancora più a sud fino alla zona di Dhashur, distesa tra le sabbie ai margini del deserto e sito rimasto chiuso fino al 2006. Le strutture più interessanti sono la famosa piramide rossa, per il colore dei blocchi di pietra. Raggiungiamo l’entrata del corridoio principale da dove, rannicchiato proseguo, scendendo verso la spoglia camera sepolcrale. Proseguiamo quindi con la piramide romboidale, che conserva la maggior parte del rivestimento originale. Dopo la visita di questo sito, è giunto il momento di ritornare a Giza, dove un tempo le famose piramidi di Cheope, Chefren e Micerino erano immerse nel deserto, ma che ora invece sono a ridosso del Cairo, e facilmente raggiungibili con la metro e un breve tragitto in taxi. C’è un gran numero di bus turistici che vomitano un sacco di persone, ma grazie ad Abdul bypassiamo la fila ed entriamo nell’area archeologica, dirigendoci subito alla grandiosa piramide di Cheope (regnante della IV dinastia (2.560 a.C.), incredibile nella sua grandiosità. Formata da 2.300.000 mastodontici blocchi di pietra calcarea, mediamente di 2.5 tonnellate l’uno, è stata per 3800 anni la più alta struttura artificiale del mondo (146 metri). Al suo interno sono presenti diversi lunghi corridoi, per depistare i tombaroli, attratti dai tesori delle camere sepolcrali. Si può accedere al suo interno, ma Abdul me lo sconsiglia, sia per l’alto costo, improprio del biglietto, sia per la fatica inutile che si deve fare, in assenza poi di sufficiente aria, dato l’interno completamente spoglio. Percorriamo parte del suo perimetro fino a scorgere una profonda buca dove è stata portata alla luce una “barca sacra”, ora ospitata nel nuovo museo egizio, qui a Giza, che si presume possa essere inaugurato l’anno prossimo. Ci dirigiamo quindi ad un bel lookout da cui si gode una vista affascinante sulle tre piramidi. Dopo aver ammirato, nei pressi della piramide di Cheope, le mastabe della moglie e della figlia del faraone, scendiamo verso la celebre Sfinge, l’immagine più conosciuta dell’Antico Egitto, figura mitologica con la testa di un uomo e il corpo di un leone. Il monumento probabilmente fu ricavato da un affioramento di roccia durante la costruzione delle piramidi. Pare sia stata creata al tempo del faraone Chefren e si pensa che rappresenti proprio lui. Alla sua base è la cosiddetta Stele del Sogno dove si narra appunto di un sogno che Chefren fece e che gli prefigurava l’ascesa a Faraone. La giornata è terminata e, lasciato Abdul a Giza, dove abita, vengo accompagnato in downtown dall’autista, osservando zone del Cairo molto degradate. Sembra che la maggior parte degli abitanti non abbia le risorse per comprarsi una abitazione e che la maggior parte debba trasferirsi per un certo periodo nei paesi del Golfo o in Arabia Saudita dove, con i risparmi di un duro lavoro potranno acquistare in seguito una propria casa al Cairo. Puntata in banca per cambiare del denaro in moneta locale e, dopo una rinfrescatina in camera, percorro parte di Talaat Harb fino a voltare in una traversa dov’è il locale indicatomi dalla guida. Si tratta di Abu Tarek, famosissimo in tutto il Cairo per la sua unica specialità, il koshari (è un piatto di pasta con riso, ceci, lenticchie, cipolle caramellate e aglio a cui, a piacimento si aggiunge salsa di pomodoro caldo, aceto e della salsa piccante).
17/5 martedì – Dopo due fermate di metro, scendo ad Attaba dove prendo poi un taxi fino alla cosiddetta Cittadella del Cairo. Attendo fino alle 9.00 e poi entro in questa fortificazione realizzata da Saladino fra il 1176 e il 1183, come protezione contro i Crociati. L'efficacia della posizione della Cittadella è ulteriormente dimostrata dal fatto che essa è rimasta la sede principale del dominio britannico (1882-1946) prima e della monarchia egiziana poi, fino alla metà del XX secolo. Comincio la visita dalla moschea di en Nasir Muhammad, decorata in maiolica policroma, che in parte riveste ancora i due minareti a bulbo, unica testimonianza rimasta in città, di ispirazione iraniana, introdotta in Cairo dopo la pace con la Persia. Fondata nel 1318, mi pare un po’ spoglia, se non fosse per le originali muqurnas che rivestono parte della cupola vicino al minbar. Dato che tutto il resto è chiuso, non mi resta che dirigermi all’attrazione maggiore del luogo: la moschea di Muhammad Ali fatta costruire fra il 1830 ed il 1848 in memoria di Tusun Pasha, il figlio maggiore morto nel 1816. L'edificio ottomano è il più grande ad essere stato costruito nella prima metà del XIX secolo. La moschea presenta una cupola centrale circondata da quattro più piccole cupole semicircolari dipinte con motivi in rilievo. La cupola interna è impressionante per le sue dimensioni e la forma, simile alle moschee di Istanbul. Ci sono sei medaglioni intorno alla cupola, che includono i nomi di Allah e Mohamed (il Profeta), così come i nomi dei quattro califfi, Abou Bakr, Omar, Othman e Ali. Al centro della facciata nord-occidentale è sita la torre dell'orologio, dono a Muhammad Ali da parte di Luigi Filippo di Francia, ricambiato poi con l’obelisco di Luxor (ora al centro di Place de la Concorde a Parigi). Il mihrab sulla parete sud-est è alto tre piani e coperto da una cupola semicircolare. Affascinante è il cortile, molto grande con la sua fontana centrale. Dato che non mi resta altro da visitare, se non il museo militare che non mi interessa, scendo verso la strada dove vedo due taxi e decido di mettere in pratica, se vi riuscirò, un idea che mi era balenata durante le mie ricerche sul Cairo. Il taxista parla qualche parola di inglese, così riesco ad organizzare di farmi portare al Monastero di San Simone, accennandogli però che il mio principale obiettivo è quello di visitare il quartiere di Eizbet el-Nakhl. Ieri, quando ho accennato ad Abdul questo mio progetto, chiedendogli se potesse accompagnarmi, ha accampato un impegno lavorativo che mi era parsa molto una scusa per rifiutare. Sono un po’ preoccupato, ma l’adrenalina mi è già esplosa dentro. Ci dirigiamo perciò verso la montagna di Mukattan, non troppo lontana dalla Cittadella. Per salire verso il Monastero di San Simone, si percorre una stradina molto trafficata, da carretti trainati da muli, piccoli furgoni e rickshaw, in un caos di suoni e inquinamento allucinante. C’è un posto di blocco con un poliziotto che, dopo un breve colloquio col taxista ci fa passare. Entriamo così nel sopraccitato quartiere di Eizbet el-Nakhl. Siamo nella periferia nord-occidentale della capitale egiziana, ma mi sembra di essere entrato in un incubo. Qui vivono gli “Zabaleen”, che estraggono dai rifiuti le magre risorse disponibili per sopravvivere. Quasi l’80% della spazzatura del Cairo viene raccolta da loro, a mani nude, e poi la stipano in contenitori di tessuto che poi caricano sui loro carretti e la portano qui, dove la principale occupazione degli abitanti è appunto il riciclaggio dell’immondizia. Durante le mie giornate in città, ho visto almeno due volte alcuni di loro che recuperavano, a mani nude, il pattume da alcuni cassonetti. Nei loro magazzini, ma spesso fuori dalle loro abitazioni, svuotano le grosse balle della spazzatura che hanno raccolto e la dividono fra carta, metalli, cartone, plastica e rifiuti organici che poi danno ai maiali (la maggior parte di loro sono cristiani copti). Persino all’interno dell’abitacolo giunge una puzza insopportabile, e loro ci convivono tutto il giorno. Ci sono piccole botteghe lungo la strada e alcune viuzze laterali che trasudano sozzura a livelli massimi. Mi rendo conto che qui potrei fare un colpo fotografico unico e non vedo l’ora di raggiungere il monastero dove è mia intenzione di trovare qualcheduno che possa farmi da accompagnatore in questo inferno, non mi fido tanto a muovermi da solo quaggiù. In se stesso il Monastero non mi interessa affatto, nonostante la location sia originale, infatti è una sorta di chiesa rupestre scavata nella roccia del monte Mukattan. Niente a che vedere con quelle di Lalibela in Etiopia, un must rispetto a questa. Purtroppo non riesco a trovare nessuno al quale chiedere, i pochi presenti non parlano inglese, perciò non mi rimane che convincere il taxista e gli sventolo altre 50 pounds egiziane per convincerlo a scendere con me, una volta tornati al quartiere. Mentre ci stiamo avvicinando gli ricordo di trovare un parcheggio, ma non è facile a causa del terribile caos, così arriviamo quasi al termine della strada dove noto uno spiazzo e gli ordino di fermare. Combinazione siamo proprio vicini ad un luogo che avevo già visto in un filmato su internet e scendo di corsa. Alzo gli occhi su un palazzo fatiscente, dove poi ho intenzione di chiedere al taxista di farmi salire in cima e riprendere il posto dall’alto, ma intanto percorro una ventina di metri verso una sorta di lookout da cui scorgo montagne di spazzature e, in fondo, sorte di baracche dove forse smistano l’immondizia. Faccio una foto e sto per scendere da solo lungo un breve sterrato che dovrebbe condurre a quel luogo, ma noto che c’è un ragazzo che sale verso di me con degli occhi di fuoco, sembra spiritato e mi urla qualcosa che intuisco voglia dire: “vattene subito”. Cerco di comunicare con lui, dicendogli che potrei pagare per poter scendere e fare qualche foto, ma pare spiritato, come posseduto e un attimo dopo il mio taxista mi prende per la camicia e mi strattona dicendomi di andarmene. Ha paura e si vede. Una volta in auto mi fa capire che non vogliono fotografie, ed è pericoloso. Per quello che c’è anche la polizia all’entrata del quartiere. Dall’auto avevo già visto la gente che smistava, a mani nude, senza alcuna protezione, ma avrei voluto poter osservare con più calma il loro lavoro, e fare qualche foto. Sono molto deluso, questo è un luogo unico, e mi rendo conto che sarebbe stata un esperienza rara. Questo è un gigantesco immondezzaio, sovraffollato, dove persino le falde acquifere si sono inquinate. La gente non indossa guanti e il tetano è una minaccia costante. Quasi la metà degli Zabaleen risulta positiva poi all’epatite. Per la poca igiene si ammalano molto, come i bambini, che iniziano ad aiutare quando hanno solo 5 anni. Ridiscesi dalla montagna, mi faccio lasciare a midan Salah ed Din, proprio di fronte alla Madrasa Hasan, vasto complesso in pietra e mattoni del 1356, creato per ospitare una importante scuola coranica e la tomba del sultano Hasan II. Svetta un alto minareto (86 metri), uno dei più slanciati della capitale. Molto ricca la decorazione all’interno con volte decorate da stalattiti. Il pavimento del cortile è rivestito da marmi policromi, ornata in centro da una fontana ottagonale. Otto colonne di marmo bianco affiancano il mihrab preceduto da una “tikka” marmorea (pedana sopraelevata). Una cancellata chiusa impedisce l’ingresso al mausoleo. Proprio di fronte alla madrasa è anche la bella moschea di er Rifai, costruita tra il 1869 e il 1912. Chiamata Moschea reale in quanto mausoleo della famiglia reale di Mehmet Ali, è il luogo di riposo eterno di numerosi membri della famiglia reale egiziana, incluso Re Faruq, l'ultimo sovrano regnante dell'Egitto, il cui corpo fu inumato qui. La moschea ospitò per breve periodo anche la salma dello Scia dell’Iran, Reza Palhavi. Fa un caldo becco quando comincio a percorrere la vicina shari Shaykhu, una stretta arteria nella Cairo popolare, dove si possono ammirare alcuni palazzi storici, molti purtroppo in stato d’abbandono o chiusi. Posso entrare, comunque nella moschea di Shaykhu, costruita nel 1349. La sala di preghiera ha una forma irregolare con pareti non parallele. Il cortile è il primo esistente in una moschea ad essere pavimentato con marmo policromo. Il mihrab contiene resti del marmo policromo dell'epoca e il segmento inferiore mostra piastrelle tunisine del XVIII secolo. Nei pressi entro anche al palazzo di Taz, dove una giovane guida mi mostra gli ambienti all’interno. Costruito nel 1352 da un mammelucco il palazzo dell’emiro Taz, nel 19° secolo è diventato una scuola femminile ed è stato poi utilizzato come deposito di stoccaggio dal Ministero della Pubblica Istruzione. Sulla destra del palazzo si trova un sebil-kuttab di epoca ottomana (1677) accessibile per una porta ad arco trilobato. Sono cotto a puntino, e così decido di prendere un rickshaw fino alla metropolitana. Sarà una esperienza da brivido, fra gincane, sensi vietati e svolte improvvise. In quindici minuti di corsa avrebbe accumulato almeno un milioni di dollari di multe, incredibile! Un po’ di relax in albergo, per poi cenare al vicino Felfela restaurant, dove ordino un kebab halla (carne stufata di vitello con salsa di zucca).
18/5 mercoledì – Con un taxi (qui la benzina costa 9 pounds = € 0,50) giungo alla straordinaria moschea el Azhar che però apre più tardi per le visite, così percorro la retrostante e tetra Muhammad Abduh dove ammiro esternamente il wikala (caravanserraglio) di Qaytbay ed entro a visitare la casa di Abd er Rahman el Hirrawi. Nulla di particolare se non qualche soffitto dipinto e stanze abbastanza spoglie, alcune destinate all’harem. Tornato un poco indietro, entro nel wikala e mausoleo di el Ghuri, ultimo grande sultano mamelucco. Una guida mi accompagna durante la visita. E’ considerato uno dei più completi caravanserragli del Cairo, costruito interamente in pietra e con un gran portale a nicchia. Dal vestibolo, decorato a cassettoni, si accede al mausoleo e alla sinistra alla sala da preghiera con tre iwan. Il minareto è uno dei più alti del Cairo. Attraversata la shari el Azhar entro nel famoso bazar di Khan el Khalili, il grande bazar della città. Edificato nel 1382 e più volte distrutto e ricostruito, rimane ancora oggi il cuore commerciale pulsante del Cairo. Qui, come del resto in ogni mercato orientale che si rispetti, la merce è disposta e offerta per zone omogenee. Ci sono vie, o interi quartieri, dedicati alla vendita di una sola categoria merceologica, o addirittura di un solo bene specifico. Molte botteghe le trovo chiuse, ma la vista risulta comunque affascinante. All’interno del quartiere entro anche nella moschea di el Ashraf Barsbey Il complesso è costituito da una moschea-madrasa, un mausoleo e alloggi sufi. La moschea incorpora finestre in marmo e vetrate. L'interno è costituito da pavimenti in mosaico marmoreo, una navata centrale con iwan rialzati su entrambi i lati, arcate con capitelli classici e due ordini di finestre. Il muro sud-est è dove si trovano il mihrab e il minbar. In attesa che giunga l’ora di apertura della moschea di el Azhar mi concedo un the e un frugale dolce al famoso caffè Fishawi, uno dei più antici e affascinanti locali della capitale, all’interno del bazar. Entro quindi alla moschea sopraccitata della quale avevo già ammirato, dall’esterno i tre splendidi minareti. E’ una delle più note moschee di tutto il mondo islamico. Fondata nel 970 dai Fatimidi, è la sede della prestigiosa Università el Azhar, che con l’Università al Qarawiyyn di Fez (Marocco) e quella di Zaytuna a Tunisi, rappresenta il vertice del pensiero giuridico e teologico islamico sunnita. L’ingresso che si può ammirare ai nostri giorni data al periodo ottomano (1753). La Porta dei Barbieri a due arcate, dove gli studenti secondo la tradizione si facevano rasare i capelli, risale alla metà del XVIll secolo. I visitatori entrano da questa porta, che conduce in una recinzione circondata da due luoghi di studio, o madrase, risalenti all'inizio del XIV secolo; quella di sinistra, completa di cupola e minareto, fu aggiunta nel 1340, e merita una visita per ammirare la famosa mihrab, indicante la direzione della Mecca, meravigliosamente ornata in stile orientale. Al centro della moschea si trova il cortile principale, il sahn, costruito ai tempi dei Fatimidi. Anche se non vi si tengono più le lezioni come una volta, gruppi di studenti vengono ancora a godersi la pace e l'ombra dei suoi portici e a meditare sui testi coranici. Di fronte si apre il cortile centrale, cinto da un porticato con archi a chiglia. Dopo questa splendida visita riattraverso la strada, entrando di nuovo al bazar e percorrendo la shari el Muizz il Din Allah, che risalgo fino alla madrasa-mausoleo di Qalawun. È considerato uno dei principali monumenti del Cairo islamico e dell’architettura mamelucca. Il minareto non è annesso alla madrasa, ma al mausoleo. Inoltre, il minareto non risiede vicino all'ingresso dell'edificio, come era consuetudine dell'epoca. I mosaici marmorei presenti in tutto il complesso e la grande cupola a baldacchino sono tendenze stilistiche riscontrabili anche nell'architettura normanna siciliana, sebbene sussistano ancora numerose differenze. Il Mausoleo di Qalawun è significativo in quanto la sua cupola fungeva da centro cerimoniale per l'investimento dei nuovi emiri. Il mihrab della madrasa ha un arco a ferro di cavallo simile al mausoleo, ma è più piccolo e meno elaborato di quello del mausoleo e la sua conchiglia è contrassegnata da mosaici in vetro e madreperla, anziché in marmo. Spicca il colore rosso intenso utilizzato nei mosaici. Subito dopo c’è la madrasa mausoleo di en Nasir Muhammad, ma decido di non spendere i soldi dell’entrata, perché la parte migliore del complesso la si ammira all’esterno. L'aspetto più singolare della madrasa, infatti, è il suo portale in marmo gotico, acquisito da una chiesa cristiana nella città di Acri dopo la vittoria contro i Crociati nel 1291. Quando l'emiro giunse alla chiesa con questo portale come porta, decise di trasportarla integralmente al Cairo. In cima all'arco è stato inciso "Allah". Il minareto è uno degli unici in stucco rimasti nella capitale, e comprende decorazioni di medaglioni, nicchie a chiglia e sezioni piene di motivi geometrici e floreali. Il minareto è anche insolito in quanto è stato costruito direttamente sopra il portale d'ingresso. Poco più avanti ammiro il bel sebil-kuttab di Abd er Rahman Katkhuda, un monumento storico che comprende una fontana pubblica (sebil), e una scuola elementare del Corano (kuttab), commissionato nel 1744 da Abd al-Rahman Katkhuda, un funzionario locale che era un importante mecenate dell'architettura. Breve sosta ad una sorta di chiosco locale dove vedo che un “cuoco” sta manipolando un impasto a mani nude, formando delle polpettine che poi getta in olio bollente. Sono le falafel (polpette fritte a base di ceci tritati con cipolla, aglio, prezzemolo). Decido di fermarmi e ne ordino quattro con un po’ di patatine fritte. Ora sono pronto a riprendere il percorso, che come sempre è un caos di clacson e rickshaw che ti schivano di due centimetri. Riprendo il controllo da calma shaolin, e giungo alla prossima visita: la moschea di el Aqmar, povera all’interno, ma è stata la prima ad avere decorazioni sontuose su tutta la facciata. Sono giunto al termine della via, alla Bab el Nasr (Cancello della Vittoria). E’ una delle porte fortificate del Cairo medievale, vestigia delle mura edificate in età fatimide. Superata la porta svolto a sinistra percorrendo tutto il muro perimetrale della moschea el Hakim, che dopo essere rientrato dalla Bab el Futuh visito all’interno, ma appare spoglia e anonima. A questo punto devo ritornare sui miei passi fino alla shari el Azhar. Il percorso sarà coinvolgente, perché sono come fagocitato nella vera Cairo, fatta di commerci sulla strada, bancarelle di mercato con generi alimentari di tutti i tipi, carni, pesce, pane, verdure e frutta In una strada stretta e piena di buche dove auto e rickshaw fanno a gara per conquistarsi il passaggio fra la gente e gli altri mezzi, e dove nessuno si stupisce delle manovre semplicemente pazzesche che quasi sempre fanno, abbellite dal suono continuo dei loro clacson. Una turista solo un poco timoroso, o agitato, potrebbero ricoverarlo alla neurodeliri in meno di un ora. Giunto a destinazione, decido di entrare nella moschea vicino al mausoleo di cui non ricordo il nome, per poi proseguire fino ad una strada carrozzabile dove prendo un taxi che mi porta in albergo. Per la cena voglio tornare all’Abu Tarek per gustare nuovamente il koshari.
19/5 Giovedì – Oggi me la prendo comoda, con un taxi raggiungo il Museo di Arte Islamica, contenente la più vasta collezione di arte islamica al mondo. Il museo è un edificio a due piani: il piano inferiore contiene le sale espositive e un giardino con fontana in marmo bianco; il piano superiore ospita la Biblioteca Nazionale. Fra le collezioni più importanti, quelle del periodo omayyade, abbaside, ayyubide, mamelucco, ottomano. Ammiro ceramiche, avori, tessuti, opere di pietra, legno o metallo, tutti oggetti salvati da moschee in rovina, o da acquisti e donazioni. Un esauriente panorama di manufatti, comprese armi ed armature, fra cui la spada di Solimano il Magnifico. Bellissime porte intarsiate, spesso con intarsi in avorio. Uscito, riprendo un taxi fino alla midan Salah ed Din, dove percorro la shari Bab el Wazir, anch’essa una piccola arteria trafficata dove spero di ottenere qualche altra gratificazione culturale, ma non ne ricaverò di eccelse. La prima moschea aperta sarà quella di Aytumish el Baggasi, del 1363 e composta da un sebil kuttab, una moschea ad un solo iwan e da un mausoleo sormontato da un insolita cupola a coste sporgenti. La prossima sarà la moschea-mausoleo di Khayr Bey. All'esterno c'è un tetto a cupola con motivi floreali, un ingresso ad arco ricoperto di muqarnas. Quanto all'interno, il mihrab si trova al centro della parete meridionale ed è circondato da due anelli più piccoli. Sul lato opposto è la Moschea Azzurra, la più grande moschea del quartiere Bab al-Wazir del Cairo e un ottimo esempio della prima architettura religiosa mamelucca. Include un mausoleo e un bel cortile di preghiera, che fu costruito nel 1347 da Amir Aqsunqur. Fu costruita nel 1347, in stile mamelucco e, nel suo centro, vi è un cortile aperto circondato da quattro colonnati. Il portico orientale è coperto da belle piastrelle blu. La moschea comprende un mihrab coperto di marmo e mattoni con motivi floreali nelle pareti interne con un'iscrizione e, intorno delle piastrelle di maiolica blu. Ormai la mia permanenza al Cairo è terminata. Non ho più molto alto di significativo da vedere, alcune moschee sulla strada chiuse, altri palazzi che ormai non riescono più ad attrarre la mia attenzione. Con un rickshaw raggiungo una fermata metro, dalla quale giungo a midan Talaat Harb dove mi faccio un ultima passeggiata, questa volta fino a Midan Opera e i giardini el Azhbakiya tornandomene poi in albergo. Sistemo tutte le mie cose e poi scendo al Felfela Express dove mi prendo una zuppa di lenticchie e un shavarma (un panino popolare di carne di montone, rotolato in pane di pita con la salsa di Tahina). Sistemate poi tutte le mie cose, sono pronto a coricarmi. Domattina dovrò alzarmi presto. Alle 05.15 sono già in strada alla ricerca di un taxi, lo trovo abbastanza velocemente e giungo in tempo all’aeroporto internazionale dove alle 08.20 riparto con un volo Air Arabia alla volta di Bergamo Orio. Ho ottenuto tutto ciò che il Cairo può offrire a un viaggiatore, ma l’amaro in bocca per non essere riuscito a intervistare qualcuno degli Zabeleen con una guida e traduttore mi ha lasciato una punta di delusione. Sono solo soddisfatto per la consapevolezza di aver conservato dentro di me quella sete di avventura che non vorrei mi abbandonasse mai, fino all’ultimo respiro.
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